(foto Ansa)

Charlie Chaplin su RaiPlay è il più bel regalo dal servizio pubblico

Andrea Minuz

La risata estorta con un capitombolo resta un mistero da neuroscienze. Però solo Chaplin riesce anche cento anni dopo a farci venire l’acquolina in bocca mentre lo vediamo mangiarsi uno scarpone. Nemmeno la woke culture lo batte

Buoni motivi per continuare a pagare il canone in bolletta: Charlie Chaplin che sbarca su RaiPlay. Ecco un valido esempio di cosa dovrebbe fare il servizio pubblico per noi contribuenti, nell’èra in cui aumentano le piattaforme ma spariscono i vecchi film. E’ infatti più facile trovare un film taiwanese tra le nicchie di Mubi, la piattaforma cineclubbistica con library fieramente spocchiosa, che riuscire a vedersi un Ford, un Hitchcock, un Lubitsch, un Billy Wilder su Netflix, Amazon Prime & Co. Lo streaming e i classici sembrano non andare molto d’accordo. Figuriamoci il muto.

Chaplin su Rai Play è allora un bel regalo di Natale per tutti. Sono dieci titoli immortali, da “Il monello” a “Un re a New York”, passando da “Luci della città”, “La febbre dell’oro”, “Tempi moderni”. Tutti restaurati dalla Cineteca di Bologna. Tutti in hd. Possono strapparvi dall’ennesima serie iniziata controvoglia, regalarvi una via d’uscita dalla tombolata in famiglia, rimediare a una brutta delusione in sala, casomai aveste trovato le forze per andare al cinema. 

Ci sono i puristi, quelli che considerano i primi cortometraggi della Keystone le cose migliori, più anarchiche e “autentiche” mai fatte da Chaplin (e che fecero anche una montagna di soldi mai vista prima da Mack Sennett, fondatore e showrunner della Keystone, inventore di Chaplin, Buster Keaton e molti altri). Sono quelli che storcono un po’ il naso per la virata sentimentale dei lungometraggi, la lacrima facile, i melodrammoni con gli orfanelli, i poveri, la fioraia cieca di “Luci della città”. Ma è coi lungometraggi che Chaplin si conquista quella perennità che al cinema è concessa davvero a pochi, giusto una manciata di nomi e di film. E’ con quelle pellicole che Chaplin diventa il più grande artista del cinema, “l’unico uomo al mondo capace di far ridere la gente continuativamente per cinque minuti”, il primo attore comico a finire sulla copertina del Time, il primo a essere apprezzato persino dagli intellettuali, quando i film erano considerati più o meno come oggi TikTok. Ma anche il primo a doversi districare nei cortocircuiti tra persona e personaggio, realtà e finzione. “Si ha un’idea sbagliata di papà”, diceva Sydney Earle Chaplin, uno dei suo undici figli, “non è bene tirare le torte in faccia, vi assicuro che lui lo fa solo nei film. A casa non le tira”. 

 

Non è cambiato molto. O meglio, siamo tornati al punto di partenza. La risata estorta con una torta in faccia, un capitombolo, una buccia di banana, è un mistero da neuroscienze. Però solo Chaplin riesce anche cento anni dopo a farci venire l’acquolina in bocca mentre lo vediamo mangiarsi uno scarpone nella “Febbre dell’oro”. Una scena che ha ipnotizzato persino mia figlia di tre anni, abituata agli standard dei baby influencer su YouTube e del catalogo Disney Plus. La facilità con cui a casa nostra Chaplin ha subito incrinato una dittatura audiovisiva fondata da mesi su “Frozen” è davvero sorprendente. Una di quelle prove che i grandi film avranno anche bisogno della sala, del buio, del pubblico palpitante, ma alcuni, come Chaplin, hanno quella perfezione che si porta benissimo anche su tablet e smartphone. 

 

Pensiamo di sapere già tutto su Chaplin. Però nei primi dieci minuti di quella feroce vendetta del muto sul sonoro che è “Tempi moderni” ci sono più idee, gag, trovate e ritmo che in tante serie televisive, e ce ne accorgiamo ancora meglio proprio rivedendolo in streaming. Avendole più o meno passate già tutte in vita (scandali sessuali, accuse di maltrattamenti, boicottaggi, caccia alle streghe, maccartismo), Charlie Chaplin si porta poi benissimo anche con la cancel culture. Sin qui si è beccato una reprimenda dell’Università di Cambridge, lo scorso anno, che ha cancellato dal programma un musical sulla sua vita (motivo: “trattava male le donne”). Ma insomma davvero poca roba coi tempi che corrono. Neanche la “woke supremacy” può battere Charlie Chaplin.

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