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Alla Mostra del Cinema di Venezia ci sarà tanta qualità. E ce n'era bisogno

Mariarosa Mancuso

Un programma ricco di promesse per questa nuova edizione del festival. Apertura in grande con Baumbach, amore senza freni per il regista di "Tre manifesti a Ebbing, Missouri" e un titolo impossibile per Iñárritu

L’invitation au voyage del direttore Alberto Barbera, per la Mostra del Cinema di Venezia che apre il 31 agosto fa purtroppo appello alle acrobazie rasoterra di Wim Wenders. Una volta era il viaggio per arrivare da qualche parte, poi il viaggio per il viaggio, ora il regista tedesco suggerisce il viaggio per ritornare a vedere meglio quel che abbiamo lasciato. Noi che viaggiamo perlopiù al cinema stiamo in attesa dei titoli, accompagnati da qualche metafora di troppo sfuggita durante la presentazione.

 

Andando alla ciccia – where is the beef? – e scorrendo i film selezionati, il programma 2022 (concorso e fuori concorso, orizzonti e orizzonti extra) è piuttosto ghiotto. L’ideale per scacciare il ricordo delle mascherine in sala, con gelide temperature per tirare meglio il fiato, e di un Festival di Cannes non al massimo della sua potenza. Apertura in grandissimo stile, Noah Baumbach con “White Noise”, tratto dal romanzo di Don DeLillo e prodotto da Netflix (il genere di film che a Cannes non vogliono neppure sentir nominare, i distributori francesi sono come da noi i tassisti). Grande cast, a inaugurare un tappeto rosso ricco di instagrammabili stelle.

 

Non siamo smaniosi di vedere “Il signore delle formiche” di Gianni Amelio, prodotto da Marco Bellocchio e dedicato a “Il caso Braibanti” – non per il tema, solo pensiamo che la mano del regista conti. Aldo Braibanti fu condannato per plagio a nove anni di carcere, non tutti passati in carcere (gran mobilitazione di intellettuali, e il reato fu cancellato dal codice penale). Siamo più attratti da “Blonde” di Andrew Dominik, tratto dal libro che Joyce Carol Oates aveva dedicato a Marilyn Monroe. Nella parte della bionda, la bruna – così l’abbiamo vista finora – Ana de Armas nell’ultimo James Bond. Già molto salita di grado in “The Gray Man” dei fratelli Russo (su Netflix, ma anche al cinema, distruggono Praga come se fosse di zucchero candito).

 

Non abbiamo una grande passione per Darren Aronofsky. Ma intendiamoci, il nostro eterno desiderio è poter cambiare idea, avere un altro regista per cui fare il tifo. Titolo “The Whale”, dove la balena è un obeso Brendan Fraser (chissà che diranno i guardiani del body shaming). Amiamo invece di un amore che non conosce ostacoli l’irlandese Martin McDonagh, regista di “Tre manifesti a Ebbing, Missouri”. E siccome l’amore non conosce ostacoli non ci faremo scoraggiare da un titolo come “Banshee of Inisherin”, e dal nome di Beckett evocato dal direttore Barbera in conferenza stampa.

 

Alejandro González Iñárritu arriva con un titolo impossibile, “Bardo. False Chronicle of a Handful of Truths”. Ma è uno che finora ci tra tradito solo un po’, mettendo a dormire Leonardo DiCaprio nella carcassa di un cavallo, in “Revenant”. Anche questo è un titolo Netflix, a ribadire che i rapporti con le piattaforme sono ottimi. Cate Blanchett sarà una direttrice d’orchestra in “Tar” di Todd Field. Susanna Nicchiarelli si dedica a Santa Chiara, per la serie “donne messe in ombra dai maschi”. Luca Guadagnino schiera un favoloso cast per “Bones and All”: amore e cannibalismo.