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La nuova parola d'ordine al Festival di Cannes

Mariarosa Mancuso

L'ingombro climatico arriva alla 74ma edizione della kermesse, spostata a luglio causa pandemia 

Le climat. È la nuova parola d’ordine del Festival di Cannes, quest’anno spostato a luglio per pandemia. Edizione numero 74, “La prima di un mondo nuovo per un festival eterno” (il copy non era in forma, quel giorno). Bisogna ridurre l’impronta carbonica e i rifiuti, quindi ogni partecipante sarà tenuto a versare un obolo di venti euro, per contribuire allo sforzo bellico. Sostengono infatti che la maggior parte dell’ingombro climatico sia dovuto a chi affolla la Croisette, ai loro spostamenti e al loro alloggio. 
   

Il festival da parte sua rinnoverà il tappeto rosso solo la metà delle volte, rispetto agli altri anni (mica penserete che lo mettano giù una volta e poi basta, con tutta la gente che ci cammina sopra per almeno cinque proiezioni al giorno). Risparmiando così 950 chili di tessuto “riciclabile e riciclato”. Niente bottigliette d’acqua in plastica – non si potevano comunque portare in sala, la sicurezza funziona come sugli aerei e vietano anche la barretta energetica, che dopo tre film di seguito servirebbe. Solo distributori con il bottiglione, all’interno del Palais. Registi e attori scenderanno da auto ibride o elettriche, i biglietti saranno elettronici per non sprecare carta.
    

Affronteremo le privazioni senza lamenti. Ma siccome parlando di clima tutto è connesso, ci sarà una sessione speciale – “éphémère”, scrivono, quindi destinata a non ripetersi negli anni a venire – di film sull’ambiente. 

  
Nella presentazione, tengono a far notare gli illustri precedenti: il film di Al Gore “Una scomoda verità” ebbe qui la sua prima internazionale, nel 2007. E tutti i film prodotti da Leonardo DiCaprio su temi ambientali arrivano qui per la via più breve. Assieme all’attore che dagli Usa viaggia con il jet privato, mica come Greta che si è fatta la traversata in barca vomitando.
   

In prima fila Louis Garrel, con “La Croisade”. Unica fiction tra sette titoli: i bambini prendono il potere per proteggere il pianeta, strappandolo agli adulti che lo stanno rovinando per le future generazioni. Trama che fa pericolosamente somigliare l’attore al suo personaggio nel film di Woody Allen “Rifkin’s Festival”: un regista che progetta un film “per mettere d’accordo israeliani e palestinesi”. “Fantascienza”, gli fanno notare.
    

Poi ci sono, dice il programma, i “constat catastrophe”: situazioni già compromesse e senza speranza. Villaggi nigeriani che per colpa del riscaldamento climatico hanno l’acqua lontanissima. Le polveri sottili che inquinano nuova Delhi. Le specie animali in estinzione. Il pericolo nucleare in Cina. La ragazza indonesiana che sola combatte contro la plastica. Mancherebbe solo la dolorosa storia del pangolino e del pipistrello sul tavolaccio di un mercato a Wuhan. Ma siamo sicuri che un regista – più di uno, probabilmente – già la sta girando.

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