Si può far ridere in tempo di pandemia anche senza usare le mascherine

Mariarosa Mancuso

Scritto, musicato, registrato, montato nel suo garage durante la pandemia e ora disponibile su Netlix, lo strepitoso one man show di Bo Burnham ci prende in giro con intelligenza. E ci chiede: a cosa abbiamo rinunciato in questi mesi di reclusione in casa?

Sappiamo tante cose di cui potremmo fare a meno e ci perdiamo le cose essenziali (no, non in quel senso profondo e solenne: nel senso delle cose che potrebbero sollevarci dagli sbadigli, pandemici e no). A luglio del 2018, chiunque negli Stati Uniti trafficasse un po’ con il cinema aveva nel mirino due film imperdibili. Uno era intitolato “Sorry to Bother You”: un giovanotto nero che fa carriera nelle vendite telefoniche quando impara a fare la voce da bianco (appropriazione culturale, si direbbe oggi: allora era satira). L’aveva scritto e diretto Boots Riley, una carriera nell’hip hop. Intitolato “Eight Grade” e diretto dall’allora ventottenne Bo Burnham, l’altro film raccontava una ragazzinambranata come si può esserlo a quell’età: su internet si fingeva disinvoltissima e dava consigli alla fanciulle più grandi di lei.

Possiamo resistere ai nomi raccatta-simpatie (la nonna è furiosa, secondo i cronisti dell’inutile; addirittura la monarchia britannica barcolla) della mocciosa Lilibet Diana. Però sarebbe stato bello, allora, vedere quei film. Almeno in un festival, se nessun distributore voleva prendersi il rischio. Tanto per avere un’aria meno sorpresa quando Bo Burnham atterra su Netflix con uno spettacolo tutto suo, “Inside”. Scritto, musicato, registrato e montato praticamente nel suo garage – mentre anche noi eravamo confinati e tutti i nostri pensieri intelligenti erano rivolti al lievito madre. In realtà, è il suo secondo spettacolo su Netflix: “Make Happy” era del 2016, registrato in teatro, davanti a un pubblico.

Durante quel tour di spettacoli, l’ex ragazzino che su YouTube a sedici anni totalizzava dieci milioni di visualizzazioni con una canzonetta sulla sua famiglia aveva patito attacchi di panico. Niente più palcoscenici e pubblico dal vivo, scrivere e girare il film “Eight Grade” era un lavoro meno ansiogeno. Detto e fatto, è bello avere un talento che consente di fare ogni cosa: in effetti non si vedono più le grandi crisi creative che coglievano, per esempio, gli scrittori di romanzi (sì, è lo stesso lavoro). Bo Burnham ha fatto l’attore in “Una donna promettente” di Emerald Fennell – pazienza, vedrete che lo faranno uscire prima o poi. Si è ritirato in solitudine e ha prodotto questo one man show che non somiglia a niente altro: strepitoso. Il primo spettacolo che per raccontare la pandemia non usa mascherine.

Sullo sfondo, una questione. Non uscendo di casa a cosa abbiamo rinunciato, esattamente? La vita dei trentenni (pure la nostra, anche se per vezzo fingiamo che non lo sia: un libro o un film sono realtà virtuali quanto una chiamata su Zoom) era già tutta online. E tale rimane per il giovanotto confinato, che rispetto allo speciale Netflix precedente – maglione da bravo ragazzo, capelli corti – ora somiglia al protagonista della serie “L’ultimo uomo sulla terra”, barba e capelli lunghi bisognosi di shampoo. Ogni tanto compare in mutande, con emoji di pesche e melanzane proiettate sulla faccia: si parla – anzi si canta, la maggior parte dello spettacolo è in musica – di “sexting” (più precisamente: della solitudine che la pratica impone, con il terrore di aver sbagliato simboletto).

Perla rara, più adesso di quando debuttò: Bo Burnham è un comico bianco, beneducato, istruito, nato dalla parte giusta del mondo. La domanda “si può far ridere in tempi di pandemia?” questo significa. Può far ridere un bel giovanotto che non ha alle spalle una vita grama? Bo Burnham ci immagina tutti zitti per un attimo, almeno su una delle mille questioni in cui mettiamo bocca. Primo bersaglio satirico: l’Instagram delle donne bianche, che piazzano i mirtilli nello yogurt a formare il segno della pace nel mondo.

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