Lotta impari tra un dilettante monumentale e il Cav. che il suo film l'ha fatto già

Guido Vitiello

Non è colpa di Paolo Sorrentino se “Loro” sarà un fallimento

Conosco un solo attore che avrebbe potuto interpretare Berlusconi in un film su Berlusconi, ed è Ugo Tognazzi; e un solo regista che sarebbe stato in grado di girarlo, Pietro Germi. Nel mio cast ideale, aggiungo, il ruolo di Emilio Fede sarebbe spettato di diritto ad Alberto Lionello; per Galliani avrei rasato a zero Adolfo Celi, e l’intuito mi dice che Paolo Villaggio sarebbe stato un ottimo Lele Mora. Ma sono tutti morti. Ne consegue che l’unico luogo in cui allestire un set come si deve per un film su Berlusconi è, al momento, l’oltretomba. Anche perché, qui nel mondo dei vivi, ci sono già uno sceneggiatore, un regista e un attore impegnati a tempo pieno nel work in progress del grande film su Berlusconi, e tutti e tre si chiamano Silvio Berlusconi. Finché lui sarà capace di tirar fuori scene come l’allattamento di un agnellino con il biberon, è inutile perfino tentare.

  

 

Questo per dire che non è colpa di Paolo Sorrentino se “Loro” sarà un fallimento; e del resto non è per mio pregiudizio se do per scontato che lo sarà: anzi, ammiro i megalomani, quelli che Mann chiamava “dilettanti monumentali”, e ho passato anni a studiare un film di sette ore in cui un regista tedesco provava a uccidere Hitler usando Wagner. Non è solo colpa di Sorrentino se “Loro” sarà un fallimento, ma certo ci ha messo del suo. Con Andreotti era diverso, perché Andreotti era già stato acconciato – grazie all’opera pregressa di un nugolo di vignettisti e imitatori – per finire in un film di Sorrentino, uno che sa creare personaggi solo per accumulazione di stramberie, motteggi e manierismi. La gobba, le orecchie a punta, l’emicrania, il parlare per aforismi: il film si era scritto da sé. E tutto sommato l’eroe si adattava bene a Servillo, alle sue smorfie aggricciate, a quei labbrucci perennemente atteggiati a disgusto, a tutto il manierismo un po’ stitico del meridionale solitario e scabro che protegge dalla prosa del mondo tenerissimi segreti di bimbo.

 

 

Andreotti poteva farsi piccolo, o rattrappirsi perfino, per entrare in un film; Berlusconi, al limite, può farsi concavo e inglobare il film di Sorrentino nel suo, più spazioso. Dopo anni a lambiccarmi con la dialettica non saprei ancora dire se l’hitlerismo è un momento del wagnerismo, ma so per certo che il sorrentinismo è un momento del berlusconismo. In Sorrentino c’è una parte di Berlusconi, ma in Berlusconi c’è Sorrentino per intero: il barocco tamarro, il kitsch tirato al sublime e il sublime tirato al kitsch – quel punto indefinito tra Dalì, l’arte sacra, Las Vegas e la pubblicità di un cocktail –, la contraffazione mortuaria della leggerezza, il dannunzianesimo iperrealista, il cattolicesimo camp, la luccicante frociaggine della locura, la poetica della vedette decaduta – tutto già visto per venticinque anni, e a grandezza naturale, anzi larger than life. Il Caimano, unico divo di un paese in cui lo star system politico eclissa quello cinematografico, nel mettersi in scena ha trangugiato e risputato tutte le reti estetiche con cui hanno tentato di catturarlo. E sappiamo che il coccodrillo divora, all’occasione, anche i suoi piccoli.

 

Ecco, il duetto o duello Sorrentino-Berlusconi lo vedo, più che sull’asse Wagner-Hitler, su quello Salieri-Mozart della leggenda. Sorrentino tende i muscoli, corruga la fronte e “vuole” essere Berlusconi (ma il volontarismo in arte è sempre falsificatore, ammoniva Edgar Wind); Berlusconi è Berlusconi senza sforzo. Non è colpa di Sorrentino se “Loro” sarà un fallimento. E un fallimento è anche questa mia recensione preventiva, perché arriva comunque troppo tardi: era già tra le fauci del Caimano lo scorso luglio quando, in un talk show dove si parlava del film di Sorrentino, gli mostrarono questo titolo di giornale: “E Silvio disse a Paolo: ‘Porta il set ad Arcore’”. “Paolo?”, rispose lui: “Pensavo si riferisse a mio fratello”. Appunto, un Berlusconi minore.

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