A Venezia ha vinto finalmente il cinema. Leone d'oro a Guillermo Del Toro

Mariarosa Mancuso

“The Shape of Water” è il miglior film della Mostra del cinema, una pellicola trasudante passione per i classici e il cinema che fa battere il cuore. Ecco chi sono gli altri vincitori

Grazie, Annette Bening. Gran bel lavoro. Ha vinto il cinema. Dovrebbe essere cosa ovvia. Non lo è per niente. Chi ricorda - o ha visto in sala - il vincitore dell’anno scorso? Forse “La La Land”? Figuriamoci, vinse il filippino “Lav Diaz”, con le sue quattro ore in bianco e nero (bella la fotografia, concediamo; ma si chiama cinema perché le immagini si muovono).

 

Grazie per il Leone d’oro a “The Shape of Water” di Guillermo Del Toro. Il più bel film in concorso, trasudante passione per i classici e il cinema che fa battere il cuore. Messicano il regista - di smisurato talento visionario. Americana del Colorado la sceneggiatrice che ha portato tra i mostri l’ironia e la brillantezza dei dialoghi. Il romanticismo era già lì, nella storia della bella e della bestia, con un elegantissimo uomo pesce goloso di uova sode (lo hanno catturato in Amazzonia, lo studiano in laboratorio, è l’America del 1962).

 

Gran premio della giuria all’israeliano Samuel Moaz per “Fox-Trot”. Aveva già vinto il Leone nel 2009 con “Lebanon”, ha ringraziato così: “Bello tornare dove tutto è cominciato”. il film ha qualche compiacimento in più rispetto alla secchezza del precedente, ma è originale, a tratti straziante, a tratti esilarante, con un meraviglioso inserto a fumetti.

 

Ha pianto calde lacrime Xavier Legrand, Leone d’argento per “Jusqu’à la garde” (da noi: “affidamento condiviso”). Aveva già vinto il premio per la migliore opera prima - il Leone del futuro - e incassato 50 mila euro (altrettanti vanno al produttore). La doppietta gli è stata fatale, oltre alle lacrime si è sentito anche un singhiozzo.

 

Ha ringraziato seccamente, con poche parole che ricordavano le pastasciutte mangiate e i Negroni bevuti in compagnia, il regista e sceneggiatore di “Tre manifesti a Ebbing, Missouri”, Martin McDonagh. La giuria, con altra scelta azzeccata, ha premiato l’impeccabile sceneggiatura. Lui sembrava contrariato, come chi si aspetta qualcosa in più.

Sarebbe stato un sogno vedere premiata Frances McDormand con la coppa Volpi andata invece a Charlotte Rampling. Può un’attrice essere brava in un film come “Hannah” di Andrea Pallaoro? (a detta di tutti - anche dei suoi sostenitori - gelido e privo di emozioni). L’attore palestinese Kamel El Basha porta a casa la coppa per il migliore attore, nel film “The Insult” di Ziad Doueriri. Con Charlotte Rampling una coppia perfetta, la fissità addolorata scambiata per recitazione.

 

Tra i talenti del direttore artistico, uno consiste nel saper scegliere le giurie. Alberto Barbera quest’anno c’è riuscito, a complemento di una selezione con meno punti deboli del solito. A parte gli italiani, s’intende, e a parte l’animazione “Gatta cenerentola”, relegata in Orizzonti e invisibile - per essere gentili - al presidente di giuria Gianni Amelio. Domani sarà uno spasso leggere i lamenti dei fan di Abdellatif Kechiche, di Paul Schrader, degli italiani che girano film all’estero, e in genere del cinema per spettatori masochisti.