Clint Eastwood sul set del film Sully (foto LaPresse)

Quel gran fico di Clint Eastwood

I suoi film escono dalla bolla liberal. Per questo sono belli scrive la National Review

Clint Eastwood ha ottantasette anni. È l’ultimo esemplare vivente della vecchia Hollywood” ha scritto Titus Techera su National Review, nota rivista conservatrice americana. “Dopo il notevole successo del film dell’anno scorso ‘Sully’, ora sta lavorando a una nuova pellicola, ‘The 15:17 to Paris’, che parla di una giovane coppia di uomini americani in vacanza che, rischiando le proprie vite, fermarono un attacco terroristico su un treno tra Belgio e Francia. Eastwood, un uomo la cui ascesa alla fama è dovuta all’interpretazione di killer violenti senza scrupoli per la vita altrui, ha deciso di finire la propria carriera interpretando eroi americani, uomini che si assumono responsabilità verso altri in tempi di crisi, le cui gesta più alte sono dedicate alla salvezza di quante più vite possibile.

Eastwood sembra voler riabilitare la mascolinità e lo spirito civico degli americani. Le due cose sono inestricabilmente legate, o almeno lo erano quando la prudenza occupava un posto importante all’interno del discorso pubblico. Educare gli uomini al servizio pubblico di vario genere era la tacita quanto ovvia ragione di quello che noi oggi chiamiamo intrattenimento. Per circa una dozzina di anni, Eastwood ha cercato di recuperare l’esperienza del patriottismo, oltre a varie altre forme di servizio mascolino al paese. Lo zenit di questo lato domestico della riabilitazione della mascolinità da parte di Eastwood è senz’altro il film ‘Gran Torino’ (2008), l’ultimo da attore-regista. In questo film, un vecchio americano bianco in un putrescente quartiere di Detroit si prende la responsabilità di proteggere i suoi vicini di casa Hmong, aiutandoli ad affrontare una gang. È una rappresentazione da pelle d’oca di molti degli avvenimenti dell’America odierna: il collasso delle metropoli liberal un tempo sicure, il fallimento dell’integrazione di varie popolazioni di immigrati, l’ascesa delle gang a rimpiazzare l’autorità nelle aree povere del paese già in declino, e la disoccupazione”.

 

Nonostante la forte politicizzazione dei suoi film, Techera nota che “Eastwood è riuscito a star fuori dai conflitti partigiani, a parte quando alla convention del Partito repubblicano del 2012 paragonò Obama a una sedia vuota. È stata l’unica presa di posizione pubblica priva di classe, seppure moderata, a dimostrazione che la partigianeria di Eastwood non è conservatrice in un senso ideologico. Si tratta piuttosto di conservare quanto c’è di buono in America. Vuole dare all’America qualcosa che aveva quando lui stesso stava crescendo, ma che ha poi perso a un certo punto del cammino: le storie popolari che glorificavano ciò che di bello c’è nel paese, così da ispirare, rappresentando ciò che è andato storto senza indurre alla disperazione. Ha insistito su storie vere sopratutto per dimostrare che la speranza è radicata in America, e che nei momenti di difficoltà non si deve mai fuggire dalla realtà delle cose”.

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