Julianne Moore (foto AbacaPress/LaPresse)

Meno vodka e più telefonini. Rassegna breve dei primi film del Festival

Mariarosa Mancuso

Cinema muto e cavalli da concorsi di bellezza

WONDERSTRUCK di Todd Haynes, con Julianne Moore (concorso)

Il romanzo illustrato “La meravigliosa invenzione di Hugo Cabret” (“Hugo Cabret” è il film che ne ha tratto Martin Scorsese) celebrava il cinema delle origini e gli automi. Combinazione che vince non si cambia: in “La stanza delle meraviglie” (parole e disegni, da Mondadori) Brian Selznick celebra il cinema muto e la “wunderkammer”. O gabinetto delle curiosità: raccolte di oggetti esotici o bizzarri che anticipano i musei. Non tutti: i musei divertenti con i diorama, i planetari, la magnifica Galleria dell’Evoluzione al Museo di storia naturale parigino, la New York in miniatura costruita per l’Esposizione Universale del 1964 ora al Queens Museum. Lì è ambientata l’ultima scena di “Wonderstruck”, un incanto diretto da Todd Haynes con la solita cura maniacale. Lo stesso vale per l’epoca del cinema muto, che ricostruisce la fuga a New York di una bambina sorda (siamo nel 1927, il sonoro sta arrivando con “Il cantante di jazz”). E la New York poco smagliante degli anni 70: in fuga stavolta abbiamo un ragazzino orfano di madre che cerca il papà, e intanto sogna spaventosi lupi. Amiamo con la stessa passione il regista di “Carol” e le wunderkammer, purtroppo manca una drammaturgia abbastanza solida per giustificare lo spreco di stile.

   

NELYUBOV - LOVELESS di Andrey Zvyagintsev, con Maryana Spivak (concorso)

“Leviatano” – penultimo film del regista russo – era vodka, mafia, litigi, corruzione e desolazione sul mar Baltico. “Loveless” ha un po’ meno vodka e tanti telefonini; per il resto sono litigi, corruzione e desolazione a San Pietroburgo, in un contesto urbano e borghese. Il regista che nel 2003 a Venezia vinse il Leone d’oro gira benissimo, lo sapevamo. La notizia è che oltre alla miseria vediamo i russi benestanti, e le ragazze a caccia di marito per migliorare la propria condizione (ognuna spalleggiata da una megera madre). La coppia sta per separarsi, marito e moglie hanno già altre vite, condividono solo la proprietà dell’appartamento che nessuno vuol comprare. Il figlio fa da terzo incomodo, i genitori urlano come se lui non fosse in casa, un giorno sembra sparire nel nulla. E sappiamo che l’azienda del marito – sharia ortodossa, dice la consorte – non concepisce impiegati divorziati o separati, gli scapoli carrieristi vanno alle feste affittando moglie e figli.

    

SEA SORROW di Vanessa Redgrave, con Ralph Fiennes (fuori concorso)

Nel suo afflato verso i migranti, l’attrice mette insieme l’Olocausto, l’invasione della Cecoslovacchia, perfino il proprio sfollamento quando Londra venne bombardata. Arrivarono nella casa di campagna dove viveva “tanti bambini meno fortunati”, si ritrovò a fare la cacca (“my number two”, dice con pudore da Maggie Smith in “Downton Abbey”) attorniata da mocciosi sconosciuti. Produce Carlo Nero, figlio suo e di Franco Nero. Stacchetto con una coperta termica dorata, partono le immagini della giungla di Calais. Altro stacchetto con la coperta termica che invade lo schermo, e via con un monologo scespiriano. Tra “Fuocoammare” di Gianfranco Rosi, le foto della principessa Diana tra le mine, l’atteggiamento “Un inverno andammo tutti a Sarajevo per fare teatro di impegno civile”.

    

WESTERN di Valeska Grisebach, con Meinhard Neumann (Un Certain Regard)

Il titolo e il cast tutto maschile sono poco invitanti, peggio quando scopriamo che passeremo due ore con un gruppo di operai tedeschi. Mettono su un cantiere in Bulgaria, quasi Grecia. E subito la ruspa si impantana nel fiume, che però non porta l’acqua necessaria per fabbricare il cemento. Tre ragazze arrivano con l’intenzione di fare il bagno, un operaio fa il cretino fingendo di annegarla. I maschi locali poco gradiscono, i mafiosi ancora meno, sequestrano i camion con i rifornimenti e vorrebbero rivenderli. La tensione sale, pensiamo subito a “Un tranquillo weekend di paura” nei monti Appalachi. Resistiamo finché possiamo – sono i produttori di “Ti presento Toni Erdmann” – nel tentativo di capire cosa fa in tanto squallore un cavallo da concorso di bellezza.

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