la banda del buco

Come si vende il vino a Chinatown? Spoiler: anche con una poesia

Maurizio Baruffaldi

In zona Sarpi a Milano resiste dal 1896 Cantine Isola, un "buco" di enoteca che già il socialista Turati invitava a frequentare. Chiacchierata con Luca Sarais, subentrato al padre nei primi anni Novanta. Dalla "Milano da bere" ai ravioli cinesi

Paolo Sarpi, zona pedonale. Nel flusso Chinatown, dove consumi e acquisti la qualunque, e l’Occidente è una cover, puoi scegliere di fermarti alle Cantine Isola. Il richiamo all’altra zona movida è solo una coincidenza: Isola è un cognome, e arriva da lontano: la scritta dell’insegna, una delle rare senza sinogrammi mandarini, contiene anche la data: 1896. A certificarla, esposta come una locandina sulla porta d’ingresso c’è la pagina di una vecchia rivista: La Battaglia, di Filippo Turati, sulla quale si legge l’esortazione, più che una pubblicità, a frequentare la Boeucc di Giovanni Isola, come si chiamava alle origini: "Cucina casalinga, vino da trasportarsi. Con la speranza che i compagni diventano abituali avventori.” Vade retro congiuntivo.

   

Lo spazio dentro è un buco, boeucc, appunto, il bancone vince, le pareti sono bottiglie. Due prezzi per ognuna: se te la porti a casa e se la bevi qui, e fa la differenza. Sono scritti a pennarello bicolore, e fa tanto bottega.

   

Momento aperitivo e il bancone è un assalto. Dietro sorridono e si destreggiano, speedy e garbati, Luca Sarais, che dal ’91 spinge e coordina le Cantine (nel 2022 ha vinto il premio come Miglior Enotecario d’Italia) e altri tre, forse quattro giovani, che scompaiono nelle quinte e riappaiono con la boccia proposta. Che ti viene aperta. Un assaggio, e se non garba, si cambia. No problem. Insieme al calice un elegante piattino ovale, poco più che un benvenuto. Ai lati del bancone il rinforzo di vivide fette d’anguria.

  

   

Finalmente armati del kit aperitivo si cerca uno spazio, che dentro non c’è. Lo sbocco fuori offre una manciata di tavolini, sgabelli, panchinette e angoli di fortuna, dove ricavare lo spazio per posare, se non le natiche, almeno il calice, nella maggioranza dei quali sale il perlage delle bollicine. Due lastre a grondaia si dichiarano portabicchieri, ma la maggior parte degli avventori, trent’anni come media, tante donne, tiene il calice con sé: in zona labbra pronto come microfono, o basso, di compagnia, effetto candelabro.

  

Alle Cantine Isola è facile incontrare la cerchia della produzione video, con l’ambizione del cinema e il portafoglio in pubblicità, ma non c’è un target, se non quello di chi rinuncia all’aperitivo con Spritz cannibale o Cocktailone: alle Cantine ti versano solo bacco.

 

A una certa riesco a sedermi con Luca Sarais. E partiamo dagli esordi. Padre sardo, sale a Milano nel ’61, a 15 anni. Dopo vari lavori e soldi mandati a casa, in un bar ristorante “il titolare gli passò il cavatappi per aprirne uno a corona. Non ne aveva mai visti. Da quel momento volle sapere tutto del mestiere: diciotto ore al giorno, ogni giorno, dedizione e fortuna, e dopo vent’anni, era il ’91, rileva le Cantine della famiglia Isola. Che erano gestite da Giacomo, "lo stappatore", e Milly, una delle prime donne sommelier d’Italia. Sono loro che gli hanno insegnato come si vende il vino.

  

Circondati dai cinesi. Com’è la convivenza?

“La convivenza è fatta di cordialità, sorrisi. Nessun conflitto. Manca però la profondità dell’amicizia. Come se ci fosse una sottile diffidenza, reciproca, una linea, a dividerci. Questo è un dato di fatto. Ma questa cosa, le nuove generazioni, i miei figli, la stanno vincendo, perché hanno fatto la scuola insieme. I loro genitori sono passati tutti dalle scarpe e cinture allo street food. Hanno il coraggio di cambiare, lavorano di più, seguono il vento. Imparano facilmente, ma evitano tutto ciò che è complesso, elaborato. Per accumulare informazioni ci vogliono anni. E loro vivono il presente”.

  

Non ti raccontano storie. E il vino è una storia. E tutte le storie alle pareti qui si possono contemplare, come a una mostra.

‘’E ti posso aprire quella che vuoi. Il concetto è: dare quello che la persona normale non può permettersi di portare a casa. Tra i 6,50 e i 10 euro, un calice te lo puoi concedere. E fai un’esperienza. Provi una precisa delicatezza. Certo, per alcune bottiglie, il calice costa di più, in proporzione al prezzo della bottiglia. Ma ti viene detto prima”.

   

E poi, di quella bottiglia esclusiva aperta?

“Abbiamo dai 100 ai 500 clienti al giorno, nel week più del doppio. Sta a noi suggerire. Mostrarle. Innescare la curiosità. La voglia. Alcune bottiglie si possono bere benissimo anche tre giorni dopo. Quelle che poi sono state in affinamento e in bottiglia tanti anni, hanno poi bisogno del giusto tempo per raccontare tutto“.

   

Come dopo un letargo, immagino, il riprendere a correre.

“L’esempio calza. Il produttore Giuseppe Quintarelli apriva il suo Amarone la domenica, per berlo la domenica dopo".

   

A cosa si deve questa enorme disponibilità di etichette?

“Abbiamo cominciato prima. Anche dei vini centellinati, ne abbiamo quindi una discreta quantità. Poi il continuare a fare le cose con la stessa energia. Nel giorno libero andare da distributori, produttori, tornarci, si ricordano di te, e questo crea un vantaggio. Una volta si andava con i rappresentanti, noiosi per linguaggio, e ti facevi una giornata intera da un solo produttore. Adesso mi muovo da solo e in una giornata faccio 4/5 aziende. Il ricambio generazionale ha velocizzato tutto. Meno convenevoli, più dinamica. E spesso sono i nostri stessi clienti che suggeriscono dove andare a scovare”.

   

Richiamato da uno dei ragazzi dietro il banco, Luca si alza per avvicinarsi a una coppia al bancone. Si salutano, si confrontano, torna con il suo sorriso sornione e stupito. Gli chiedo delle persone che lavorano con lui.

“Sono giovani e professionali quindi attirano di più la clientela. E sono tutti sommelier”.

   

Com’era la Milano da bere, qui alle Cantine, quando tuo padre le ha comprate?

“Beh, intanto, Marco Mignani, che ha firmato quella pubblicità, ‘La Milano da bere’, abitava qui vicino e la domenica non mancava mai di parcheggiare fuori la sua Guzzi d’epoca per sedersi a bere un calice. Io studiavo Economia e nel tempo libero davo una mano. C’erano due tipi di avventori: quelli del quartiere, che bevevano semplice, quelli che chiamiamo la banda del buco, fatto di vicinato, di vecchietti che portavano la specialità fatta dalla moglie a casa e si mangiava insieme. Di fianco crescevano gli appassionati, quelli che la Milly sensibilizzava, in qualche modo educava all’upgrade. Una forma di seduzione, che finiva con un: Massì, me lo faccia assaggiare!”

  

Le buone abitudini della banda del buco sono in qualche modo rimaste: anche adesso il cibo lo puoi portare da dove vuoi.

“Abbiamo cominciato ad accettare il cibo da fuori quando alcuni clienti ci chiesero se potevano mangiarsi la porzione acquistata alla Ravioleria Sarpi qui avanti. Ed è finita che abbiamo confezionato insieme una sorta di menù degustazione: suggeriva ai suoi clienti cosa venirsi a bere da noi, il vino adatto ai loro ravioli”.

    

Anche perché i più astiosi recensori su Tripadvisor lamentano la persa atmosfera, la scarsità del cibo aperitivo, la sua calata qualità.

“È vero. Prima c’era meno gente e potevamo stare al banco. Ci mettevamo più cibo e attenzione. Dopo il Covid non si infilano più volentieri le mani dove le infilano gli altri, e oggi non entrerebbe più nessuno se si fermassero tutti al bancone a spiluccare”.

   

 

La convivialità oggi è nell’esserci. Incrociarsi. Sfiorarsi i gomiti. E allora, il momento della poesia, che leggi il martedì, programmazione fissa, alle 20.30, sembra quasi voler sospendere per un po’ questa agitazione, per stringersi e ascoltare.

“Credo anch’io. La poesia, o breve racconto che leggo, li sceglie mia mamma. Abbiamo pensato io e lei, conoscendo da vicino le attività dei Feltrinelli e degli Hoepli, di sposare le due culture. Le presentazioni dilungano, annacquano, e allora meglio questa lettura rapida. La annuncio con uno scampanellio e si crea subito un’attenzione a raggio. La cosa bella sta nei ragazzi, sono loro che ti chiedono: C’è la poesia oggi? Oppure portano i nonni”.

  

Uno studio di settore dice che i giovani bevono sempre meno vino, che gli preferiscono bibite dolci (butto lì un’analogia tra poesia e post da social). Per la generazione dell’Estathe crescono il vino in lattina, e la produzione di vino senz’alcool (dealcolizzato, il nome esatto, che pare un percorso di psicoterapia). Ma per chi sceglie questo avamposto, sono soltanto rumori di fondo.