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Numeri e paure. Cosa rischia l'Italia senza dare un sostegno alla ristorazione

Marianna Rizzini

Secondo la Fipe prima della pandemia il settore contava 330.000 imprese, con 90 miliardi di euro di fatturato e 1,2 milioni di addetti. Le perdite, a oggi, ammontano a circa 34 miliardi di euro

Roma. La ripartenza e la crisi: come non farle diventare due facce della stessa medaglia. Questo è il problema, ora. Specie per alcuni settori. La ristorazione, per esempio. Ne ha parlato anche il governatore di Bankitalia Ignazio Visco, qualche giorno fa: “L’impatto dell’epidemia sui diversi settori di attività economica non è stato omogeneo. Gli effetti immediati sono stati più forti nei trasporti, nella ristorazione, nelle attività ricettive, in quelle ricreative e culturali, nei servizi alla persona e in larga parte del commercio, tutti settori nei quali le limitazioni imposte dalle misure di contenimento hanno portato quasi alla paralisi dell’attività. Anche in presenza di una graduale attenuazione delle misure di distanziamento, la ripresa di questi comparti dipenderà dal tempo necessario per il dissiparsi dei timori maturati in questi mesi. C’è infatti anche un fattore psicologico con cui fare i conti, e ci sono le misure del decreto “Rilancio” che, per gli operatori del settore, necessitano di integrazione.

 

Intanto la Fipe (Federazione Italiana pubblici esercizi), nel corso dell’audizione parlamentare, qualche giorno fa, partendo dai dati, ha evidenziato la differenza dal 2019: “Prima della pandemia da Covid-19, la sola ristorazione contava 330.000 imprese, con 90 miliardi di euro di fatturato e 1,2 milioni di addetti, costituendo il settore che ha contribuito maggiormente alla tenuta e alla crescita dell’occupazione nel corso degli ultimi dieci anni. Un settore che rappresenta un terzo del valore aggiunto dell’intera filiera agroalimentare nazionale, con 46 miliardi di valore aggiunto su un totale di 125 e con oltre 20 miliardi di euro di materie prime agricole acquistate ogni anno”.

 

Le perdite, a oggi, dice il dg di Fipe Roberto Calugi, ammontano a circa 34 miliardi di euro. La situazione è molto critica. Sono a rischio 350 mila posti di lavoro, dice Calugi, pensando in particolare alle zone dove il turismo è in ginocchio. La prima cosa da fare, quindi, “è agire sulla componente psicologica e sulla fiducia, in modo che i ristoranti non siano più considerati i luoghi del possibile contagio, dove si aggirano i possibili untori. La seconda cosa: far arrivare a destinazione gli aiuti previsti. La terza: non trattare situazioni diverse nello stesso modo. Un conto è se hai fatturato pari a zero, un conto se hai perso la metà”. Servono poi, dice Calugi, “interventi strutturali sulla rete dei costi e sul cuneo fiscale del lavoro”. Per non dire degli affitti: “Inutile girarci intorno: gran parte dei ristoratori non può più pagare le cifre che pagava, in questa situazione. Si dovrebbe quindi trovare una modalità fiscale per sostenere i proprietari, da un lato, e fare sì che gli affittuari possano avere una riduzione del canone. Altrimenti si rischia di intasare i tribunali”. C’è poi il rischio sociale: “Gente che prima lavorava e ora è in fila alla Caritas, gente che aveva imprese floride che ha perso tutto. Il settore era forte, la voglia di ripartire c’è, si può fare, basta pensarci adesso”.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.