La cucina alla prova del Covid
Gli chef Niko Romito e Gennaro Esposito raccontano a quali sfide i grandi ristoranti vanno incontro tra delivery e riapertura
Nulla sarà più come prima. Nemmeno la cucina. E non di certo perché ormai in ogni casa italiana che si rispetti c’è un membro della famiglia che ha ripreso in mano le basi della gastronomia italiana per poter ovviare ai mesi senza ristoranti e sentirsi più italiani, più uniti, più forti (c’è addirittura chi, di necessità virtù, s'è dedicato al lievito madre, non potendo disporre del più raro dei rari diamanti nel periodo di lockdown feroce: il lievito). No, il mondo della ristorazione non cambierà per questo. Ci stancheremo di pianificare la lievitatura del pane e di tirar sfoglie per le lasagne la domenica e desidereremo ritornare ad assaporare l’incanto di essere seduti al tavolo di un ristorante, tovaglia immacolata e posate preziose, col menù tra le mani, a scegliere tra pietanze che a casa non sapremmo replicare, serviti e riveriti, destinatari finali delle opere d’arte magiche di una entità superiore che si aggira nelle cucine, tra ingredienti pregiati, cappe e fornelli: lo chef! Desidereremo tornare a vivere l’entusiasmante ma unica sensazione di essere i protagonisti rari e spesso - visti i costi - unici dello spettacolo che va in scena in un ristorante stellato dove lo chef, star indiscussa e icona insostituibile, cucina per noi portate oltre la perfezione, si avvicina ai nostri tavoli per accertarsi della nostra soddisfazione. Sono i nostri momenti di celebrità regalateci da una celebrità. Perché si, diciamocelo, in ambito culinario, a mancarci, ora come ora, sono il cibo asiatico, anche da asporto (oddio è crudo, forse meglio se evito! Ma sarà sicuro ordinare cinese?) e la cucina stallata di qualità.
Ristoranti chiusi per mesi e previsioni problematiche di apertura ci fanno temere per il futuro di un pezzo di autore della nostra italianità. Ma loro, gli chef - ormai da anni idoli indiscussi di cucine e altrettanto di tv e social, trasformatisi da cuochi a realtà imprenditoriali che fatturano come singole aziende, chef divizzati che invadono di sé ogni spazio di possibile notorietà presso il pubblico – non si sono persi d’animo e ci assicurano che si, riapriranno, ritorneranno ai fasti pre Covid-19, senza plexiglass tra i tavoli per non rovinarci l’atmosfera e con una cucina più pensata, più riflessiva, più autentica, più sostenibile, più responsabile, da ogni punti di visto. Riprendendosi di diritto quanto spetta loro a discapito di virologi, epidemiologi, ricercatori, scienziati e commissari speciali: il posto di onore.
In questi mesi difficili, hanno promosso iniziative in beneficienza a colpi di hashtag: da #Insiemefacciamorete del pizzaiolo gourmet Franco Pepe e della stellata Rosanna Marziale per raccogliere fondi a favore dell’Ospedale di Caserta a #iorestoacasa ma aiuto gli ospedali lanciato da Italia a Tavola e sostento da chef di peso, tra cui il tristellato Enrico Crippa. Hanno cercato espedienti, tra dining bond e format innovativi. E hanno continuato a cucinare per noi sui social: si contano sulle dita di una mano gli chef che non hanno lanciato programmi culinari in rete, condiviso video-ricette, collezionato dirette gastronomiche e reso di tendenza hashtag. Tra questi, Niko Romito, tre stelle Michelin all’attivo, patron di Reale a Castel di Sangro, di Spazio, Casadonna e ALT, che ha tenuto un profilo più basso, fedele alla tua tipologia di cucina alla ricerca dell’essenziale. Dopo giorni trascorsi a mostrarci cartelli con messaggi ironici (da “Domenica siamo tutti pizzaioli” a “Il ciambellone lo fa mamma… ed è migliore del mio”), ha annunciato serafico, sempre via cartello: Torno in cucina. E il 16 aprile ha lanciato il delivery da Spazio Bar e Cucina a Roma per recapitare nelle nostre case, per i più fortunati geograficamente parlando, una serie di sfizi ideali per un aperitivo d’autore. “Prima dell’emergenza stavo già studiando la ristorazione delivery, affascinato dalle dark kitchen, con costi di gestione molto più bassi. Il pane, le bombe e il pollo fritto sono tre prodotti ideali in questo senso. Sono anni che lavoro sul concetto di replicabilità e facevamo già molte consegne con Spazio e Alt. La nostra forza sta anche nel packaging, con contenitori studiati per ogni prodotto, dopo diversi stress test per capire come il tempo incide sulla qualità del cibo durante la consegna. Con il delivery e l'asporto bisogna preservare temperature, consistenze, gusto. I miei studi sono andati in questa direzione.”
Ancora più minimal la reazione di Gennaro Esposito, patron incontrastato della Torre del Saracino a Vico Equense, due stelle Michelin, ristoranti a Milano e Ibiza, mitico organizzatore della Festa a Vico. “Siamo stati costretti a chiudere quasi senza preavviso. Inizialmente, forse tutti abbiamo pensato che si trattasse di qualcosa di momentaneo e passeggero. Venivo da un periodo intensissimo di lavoro, stavo organizzato moltissime eventi. Mi sono fermato quasi come a prendermi una pausa. Il trascorrere dei giorni ha reso tutto più chiaro: la chiusura completa, eventi rimandati, alcuni definitivamente saltati. Ho perso punti di riferimento. Ho assistito con dolore alle immagini crude che ci trasmettevano le tv, immagini di guerra, di persone che piangevano i propri cari. Ho deciso di ritirarmi completamente per due mesi, non avevo lo spirito adatto. Quando si è iniziato a parlare di riaperture graduali, mi sono posto le prime domande, ho cercato risposte in Regione Campania, presso la Task force istituita da De Luca. Da qui è nato il mio impegno per la stesura di un documento che, con il coinvolgimento di ristoratori e chef e a partire da quanto definito dall’OMS, fornisse soluzioni operative finalizzate a incrementare, nella ristorazione, l’efficacia delle misure di contenimento adottate per contrastare il Covid-19, soprattutto in termini di sicurezza, igiene.”
Già, la sicurezza, la disponibilità di un ambiente ampio, con tavoli distanziati, provando ad ovviare al terribile spettacolo dei divisori di plexigas tra i tavoli. “Credo che il futuro a breve termine post pandemia sarà il momento più difficile, un limbo in cui bisognerà cambiare i modelli di servizio, di ospitalità - riflette Romito - Come ristoratore il mio primo obiettivo sarà quello di garantire la sicurezza dal punto di vista sanitario, sia per i clienti che per il personale. Alla riapertura i locali dovranno rispettare i vincoli e le norme governative e ministeriali; la distanza tra i tavoli e quella interpersonale, l'igiene e la sanificazione saranno ancora più maniacale. Il primo criterio di scelta delle persone sarà quanto quel ristorante ottempera a determinati standard, poi verrà la preferenza gastronomica.” Se pensa ai suoi ristoranti, “il Reale è quello che più si avvicina agli standard sanitari e di sicurezza che saranno i dogmi del post coronavirus: i coperti sono pochi e già ben distanziati per la natura stessa del servizio che è fluido e discreto e poi si colloca al di fuori dei grandi agglomerati urbani, in un luogo incontaminato, vergine, circondato dalla natura e dal silenzio. Se penso a Spazio Milano il cui fascino, oltre all'offerta gastronomica, è la condivisione degli spazi comuni, l'idea potrebbe essere quella di organizzare turni anche del personale. Per ALT, che è il mio format di ristorazione su strada, stiamo pensando ad una APP da cui puoi ordinare un lunch box e ritirarlo mentre passi da lì.”
È tempo di ottimizzare i modelli, pensando a come renderli fruibili mantenendo la loro identità. Perché il futuro sta iniziando proprio ora. “Non avverto la necessità di ripartire da una rivoluzione della mia cucina – ci confida onesto e schietto come lo conosciamo Gennaro Esposito - Sono convinto di quello che ho fatto e faccio e credo sia contemporaneo al punto da non dover essere ripensato. Ho sempre valorizzato estremamente la filiera e la sostenibilità, lavoro con artigiani locali per l’utilizzo e la promozione di prodotti di eccellenza. Sarò ancor più determinato ora nel farlo. Voglio ripartire dal meglio che abbiamo fatto in questi anni, lasciando al cliente libertà di scelta, tra piatti, prodotti, prezzi. Il periodo che abbiamo vissuto e viviamo ci porta a essere stressati, tesi. Voglio ripartire e regalare ai miei clienti un sorriso”.
“Ho sempre pensato che la cucina del futuro non possa essere fine a se stessa, volta ad esprimere solo l'ego creativo di un cuoco, ma anzi debba essere uno strumento di formazione e di condivisione di un sapere e di una conoscenza che non deve rimanere appannaggio di pochi – ragiona Romito - Sono convinto che l’altissima ristorazione espressione di ricerca, innovazione, attenzione ai dettagli, continuerà a funzionare molto bene a patto che ci si concentri sui principi di semplicità, sostenibilità, identità, preparazione, personalità. Credo che una grande responsabilità del cuoco oggi sia anche quella di rispettare il benessere di chi mangia e di migliorare la qualità della vita di quante più persone possibili - ecco perché è nato Intelligenza Nutrizionale - Dobbiamo essere in grado di 'nutrire' nel senso più ampio del termine che include necessità, piacere gustativo, piacere estetico, accrescimento culturale. Il cibo è ambasciatore dell’ecosistema da cui proviene, non solo del territorio agricolo ma anche del contesto culturale, delle abitudini di preparazione e consumo degli alimenti, che contribuiscono a creare la nostra identità”.
In un mondo che ci preannunciano fatto ancora di necessità di mura domestiche e, secondo alcuni, perfino di voglia autentica di casa, c’è chi teme che la cucina stellata possa non avere un ampio spazio. Certo, esistono varianti altrettanto allettanti e soddisfacenti, forse più inclini al delivery, se pensiamo all’affermarsi di cucine di trattorie moderne che regalano esperienze più che soddisfacenti e di qualità. Sarah Cicolini di Santo Palato, nota trattoria moderna della Capitale, ha dichiarato di aver cominciato a pensare il suo menù a domicilio non appena ha annusato l'aria del lockdown, partendo dalla tradizione nostrana delle paste al forno. Format dediti al delivery di alta qualità sono addirittura nati in questo periodo di quarantena. È la storia dalla coraggiosissima Costanza Zanolini, già proprietaria di Maido e Amuse Bouche, che ha lanciato, a Milano, Madre, “un progetto che custodivo da tempo. Per le prove abbiamo utilizzato la cucina di Amuse Bouche che, avendo come target gli studi legali e le aziende in genere, ero certa avrebbe sofferto maggiormente e non sarebbe ripartito nel breve. Abbiamo quindi riadattato la cucina di un format esistente, convertendola nella cucina di Madre, con l’idea di ottimizzare i costi ma anche di realizzare un nuovo sogno testando sul pubblico l'interesse.” A testimonianza di una possibile rinascita, purché si abbia voglia di sperimentare e osare. E si, per la cucina stellata tutto ciò sarà più difficilmente replicabile. “Il delivery nell'alta ristorazione, da mio punto di vista, non è sostenibile”, conferma anche Romito. Ma proprio questo potrebbe contribuire a rendere l’esperienza di sedersi a quella tavola con tovaglia immacolata e posate preziose, col menù tra le mani, il sogno proibito che ci porterà, ancora e presto, a voler godere di esperienze di alto profilo, non replicabili tra le mura domestiche. Siamo sicuri, la scena, anche nei nostri cuori, sgravata dalla necessità ai limiti del terapeutico di panificare e cucinare e scevra o almeno alleggerita dalla presenza di virologi, epidemiologi, ricercatori, scienziati e commissari speciali, sarà ancor loro. Loro che in una manciata di minuti riescono a farci assaporare l’ebrezza dell’esclusività, serviti e riveriti, destinatari finali delle opere d’arte magiche di una entità superiore che si aggira nelle cucine. Loro, gli chef stellati.
Antisemitismo e fornelli