Le sorelle Cristina, Antonella e Elisabetta Nonino (foto LaPresse)

E brava Nonino

Renzo Rosati

Qualità a vocazione globale. Il premio a San Francisco come “Migliore distilleria del mondo”

Roma. Nonino, la storica azienda friulana della grappa, è stata premiata come “Migliore distilleria del mondo” al Wine Enthusiast Star Awards al Palace of Fine Arts di San Francisco. E’ bene sapere che non si tratta di una delle mille sagre in giro per il pianeta, ma di una manifestazione che punta, oltre che sui prodotti, sulla cultura, la ricerca e l’innovazione. Tra gli altri premiati anche Jon Bon Jovi, il cantante che ha sempre unito l’impegno musicale a quello politico, e il regista Francis Ford Coppola: dunque molto di non banalmente ridotto all’alcool.

 

Nonino ha vinto come Spirit Brand / Distiller of the Year 2019 per la “visione rivoluzionaria dell’azienda che ha portato alla capacità di ridisegnare un distillato tradizionale per l’era moderna”. Con la motivazione: “Rappresentante del Best of Made in Italy, un continuo impegno verso l’eccellenza basato sulla ricerca dell’innovazione nel rispetto della cultura e dell’identità del territorio. Impegno nato realmente negli anni Settanta quando Benito Nonino e la moglie Giannola iniziarono a produrre grappe monovitigno di alta qualità ribaltando l’immagine forte e grezza della grappa”.

 

Ci sarebbe da aggiungere poco altro se non che premi come questo, con spiegazioni diciamo pure così colte, ci dicono per l’ennesima volta in quale direzione dovrebbe andare l’agroalimentare italiano se vuole mantenere la posizione riconosciuta nel mondo, o almeno in quale direzione devono andare le sue eccellenze. Nonino infatti non è certo ignota da noi, né di nicchia. E’ in enoteca, sulle tavole scelte ma anche nei supermercati. Ovviamente con prodotti e prezzi differenziati, un po’ come lo spumante Ferrari. Ha dunque la classica vocazione glocal, per parlare di moda. Ed esiste dal 1897, fondata a Ronchi di Percoto (Udine) da Orazio Nonino. E lì è rimasta la sede, come usano le aziende familiari: le quali a loro volta meriterebbero non capitoli ma studi a parte ogni volta che si sproloquia di declino del capitalismo italiano. E’ vero che la svolta fu proprio negli anni Settanta, con l’introduzione del singolo vitigno, e poi negli Ottanta con l’Acquavite d’Uva registrata e riconosciuta dall’Unione europea, prodotta in 40 ettari di vigneto sperimentale a Buttrio. Ma tutto questo ha richiesto ricerca, soldi e, per dire, una notevole dose di ottimismo. Le cantine Nonino, per chi le ha viste, sono esempi di design, così come le etichette, mentre un tributo alle radici è il premio annuale intitolato alla Civiltà contadina. Se si aggiunge che la capo azienda, Giannola, è appunto una donna, dal 1998 cavaliere del lavoro, non manca nulla.

 

Invece qualcosa va ancora detto. Per esempio che in tanto glocal siamo comunque più nel global come visione antiprovinciale. Dopo decenni di mitizzazione mediatica e no (vedi tour enogastronomici dei politici) di grappe e culatelli “del contadino”, o magari a km zero, ecco un’altra conferma che la qualità va in giro per il mondo. Non è la sola eccellenza in quel segmento che potremmo definire del momento felice che è il dopo cena: siamo in pieno boom dei panettoni di qualità, e c’è pure la riscoperta del vermouth, che avevamo abbandonato ai ricordi d’infanzia. Dunque va bene la guerra delle bollicine con la Francia, a condizione che non si chiami prosecco qualunque vino frizzante prodotto dal Po in su (e magari anche in giù). Va bene difendere il Parmigiano Reggiano, o il Grana Padano, dalle imitazioni del parmesan americano, tedesco o cinese. Va bene contrastare le etichette semaforiche europee se però vediamo come altre etichette europee possono tutelarci. Ma la concorrenza va pure affrontata con la qualità, cioè quel magico ed elitario connubio tra innovazione e tradizione, cultura e capitale.

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