Il ricordo

Quella frase di Ratzinger che spinse una generazione a fare politica

Matteo Forte e Lorenzo Malagola

Benedetto XVI è stato il Papa della maturità, della ragionevolezza del credere. Lo stretto rapporto fra teologia e politica. Una lettera

Al direttore - Se Giovanni Paolo II è stato il Papa dell’incontro con la fede, fatto di freschezza ed entusiasmo, per la nostra generazione Benedetto XVI è stato il Papa della maturità, della ragionevolezza del credere. Il tratto che ci conquistò è racchiuso, come spesso capita, in un apodittico che leggemmo giovani universitari in un suo commento alla Fides et Ratio: “Solo quando la fede cristiana è la verità riguarda tutti gli uomini”. Nacque dalla nitidezza di questa affermazione il desiderio di una nuova generazione di fare politica, seguendo prima chi l’aveva preceduta e provando a costruire oggi una propria strada. Nei giorni del commiato terreno, vorremmo così sottolineare due corollari a quella frase, punti di metodo e di contenuto che rimarranno per noi insegnamento perenne del papa emerito. 

 

Il primo corollario suona più o meno così: solo se riguarda tutti gli uomini, solo se chiama ogni persona, la verità può essere affermata liberamente e vissuta insieme. Sì, perché rimossa la verità gli uomini rimangono soli in balìa del potere e tutto – dalla loro stessa esistenza alla dignità di ciascuno nelle diverse fasi della vita – è sottomesso alle regole del gioco politico, sballottato dai “venti delle dottrine” e dalle mode del momento. Eppure – insisteva Ratzinger invitando tutti a vivere secondo l’ipotesi “Etsi Deus daretur” – c’è qualcosa oltre ai numeri delle maggioranze che cambiano e passano. C’è qualcosa che rimane e fonda ciò che è giusto e ciò che è bene per la convivenza tra gli uomini: “il diritto viene da noi istituito, ma non creato. In altri termini: senza trascendenza non c’è fondazione del diritto” (La vera Europa).

 

La riflessione teologica di Benedetto XVI ha quindi interrogato spesso il potere democratico sul riconoscimento di ciò che è giusto. A Westminster chiedeva: “Dove può essere trovato il fondamento etico per le scelte politiche?”. E “Come si riconosce ciò che è giusto?” fu invece il file rouge del discorso al Bundestag. D’altronde, Ratzinger aveva posto con chiarezza lo scopo precipuo del politico: “servire il diritto e combattere il dominio dell’ingiustizia”. La soluzione avanzata da Benedetto era dialogica e relazionale: la fede aiuta e purifica la ragione nella ricerca dei fondamenti morali, così come la ragione corregge una fede che rischia di diventare cieco fanatismo. La religione quindi come un fattore vitale nel dibattito pubblico di una nazione. Dal riconoscimento di questo ruolo ad intra e ad extra ecclesia, nasce l’impegno personale e comunitario nella cosa pubblica di un piccolo ma sensibile popolo “benedettino”.

 

Da una parte, ad intra, il coraggio di riproporre la tradizione millenaria di costruzione di un’Europa cristiana ha infuso in tanti giovani il desiderio di contribuire all’edificazione di una nuova storia comune. Dall’altra, ad extra, il richiedere uno spazio di espressione per il fattore religioso ha posto tanti laici davanti alle domande ultime e fondative, facendoli scoprire “devoti”. E’ sorto così un “resto” che ancora oggi prova a mantenere viva la chiamata comune all’alleanza tra fede e ragione.

 

Il secondo corollario ha a che fare proprio con questo “resto”. Ratzinger sapeva che la cristianità era bella che finita. Così come sapeva che difficilmente sarebbe tornata, tanto meno per una iniziativa politica ispirata a gloriosi sogni di restaurazione. Ratzinger sapeva e diceva che sono le minoranze che, nella libertà, possono veicolare e irradiare all'interno della società le ragioni di una solida speranza. D’altra parte, è il metodo di Dio: Egli non ha scelto di salvarci sfoderando tutta la sua potenza e facendosi precedere nella sua manifestazione dalle schiere celesti. Dio è apparso come un fragile bambino nato in una mangiatoia. E addirittura, come disse Benedetto XVI all’episcopato svizzero nel novembre 2006, “fallisce” morendo in croce. E’ sui piccoli greggi e sulle minoranze creative che dunque poggia il futuro del cristianesimo

 

La storia non è scritta una volta per tutte. Benché il marxismo abbia preteso trovare le leggi fisse che spiegano la vicenda umana, essa non è già determinata. In un intervento all’Università Urbaniana di metà anni degli anni Ottanta, il cardinale Ratzinger spiegò bene proprio come il determinismo fosse un elemento comune tanto dell'ideologia dominante nell’Est comunista quanto in certo Occidente liberale e progressista. Il concetto lo riprenderà Benedetto XVI nella Caritas in veritate, ricordando: “Talvolta nei riguardi della globalizzazione si notano atteggiamenti fatalistici, come se le dinamiche in atto fossero prodotte da anonime forze impersonali e da strutture indipendenti dalla volontà umana” (n. 42). La libertà invece ha sempre un ruolo da giocare. In particolare, la libertà responsabile, ovvero quella di chi attraverso l’esperienza personale, familiare, o persino politica fa sì che “Dio rimanga dentro al mondo e sia presente nel mondo come l'unica forza che può salvare l’uomo dall’autodistruzione” (La vera Europa). 

 

Matteo Forte è consigliere comunale a Milano, Lorenzo Malagola è deputato di Fdi

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