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Sulla soglia del Soglio

L'imperfezione dell'Emerito

La scelta non riuscita di ritirarsi dal mondo

Maurizio Crippa

Oggi in molti, furbescamente, indicano le dimissioni di Benedetto XVI come la cosa migliore del suo pontificato. Non è così, ma la verità è che Ratzinger non ha saputo o potuto staccarsi del tutto dal ruolo di Pontefice. E questo ha fatto sorgere qualche problema

Si potrebbe rubricare come una semplice nota di costume giornalistico: la rapida superficialità con cui molti giornali, commentatori e persino vaticanisti (gente che dovrebbe essere informata come un tempo i cremlinologi) hanno indicato come la cosa più importante del pontificato di Benedetto XVI le sue dimissioni. Non ciò che ha fatto da Papa e nemmeno ciò che hanno rappresentato i suoi nove anni “nel recinto di San Pietro”. No, la Rinuncia in sé. Vista come “il gesto rivoluzionario di un conservatore”, e pazienza per la logica. Vista, da parte di chi non lo amava, come un sigillo sul fallimento personale e magisteriale. Vista come la (positiva) fine del Papato eterno e infallibile: dopo Ratzinger, lo ha detto anche il suo amico-nemico Walter Kasper, il Papato è divenuto umano, troppo umano. E’ indubbio che le dimissioni di Benedetto XVI e la trasformazione nel Papa Emeritus – l’abito bianco lo certificava, nonostante gli sproloqui araldico-canonistici – siano state un gesto inedito, così diverso dal “gran rifiuto” di Celestino, un gesto di modernità intellettuale e di libertà dottrinale forse irripetibili e destinate a segnare la storia della chiesa. Meno convincente l’interpretazione, pur diffusa, di una ritirata dopo la sconfitta, incalzato dal mondo, dagli scandali e dall’odio. Tutte cose che c’erano e ci sono anche oggi, a un giorno dai funerali solenni. Ma bisogna stare alle poche lucide parole dette da lui, e all’evidenza di un gesto di libertà e di affidamento incredibili.

 
Questo detto, è più interessante interrogarsi sui significati, la legacy e anche i limiti di quegli anni da Emerito quasi eremita (ma non proprio); da non più Regnante – regnare è la facoltà di pronunciare parole che sortiscono un legittimo effetto di legge – ma allo stesso tempo incapace, o indisponibile, a rinunciare del tutto la facoltà normativa, professorale, delle sue parole. Lo spazio di libertà, o anche di ambiguità, che la forma dei due Papi aveva creato. Nei commenti di questi giorni, soprattutto quelli critici del Papa prima e dell’Emerito dopo, si punta molto su questo aspetto, inteso in senso solo negativo. Benedetto Emerito-Ratzinger il Conservatore rischia di restare come un fantasma, a whiter shade of pale, sul Papa Francesco e sul futuro della Chiesa (e del Conclave). Scenaristica di maniera: morire, ma lasciando la persistenza sulla retina di un fantasma bianco, darebbe il via libera a tutti “i nemici di Bergoglio” e delle riforme – a proposito: nessuno che si ricordi di citare, tra i nemici della Chiesa e di Francesco, i vescovi tedeschi. I quali nemici ovviamente ci sono, e daranno nuova aria ai denti: sedevacantisti, tradizionalisti che non riconoscono il Vaticano II e la legittimità dei Pontefici, complottisti di ogni risma. Tutti pronti a sfruttare i problemi di Francesco, e persino i suoi acciacchi, per battere un colpo.

  

Guerricciòle di scarso interesse, anche quando c’è del vero: non è vero che qualcuno voglia riportare la Chiesa al latino, ma è vero che su tutto il resto c’è dibattito, ed è ovvio che la partita del Conclave cominci molto prima. Dov’è la novità? La dialettica amico/nemico vale per ogni Papa. Per questo oggi in molti sono pronti a scommettere che non ci sarà mai più un altro Papa che si dimette. Tutte cose che fanno parte della normalità della Chiesa, e Benedetto XVI – che ha voluto sempre rimanere anche il professor Ratzinger, il teologo umile e guidato dalla “grande gioia della fede” – ne ha anche sofferto, tirato spesso qua e là per la candida veste.

  
Ciò su cui riflettere è invece altro. Dal momento immediatamente successivo a quel cristallino gesto di libertà con cui sfidò, da pari a pari, anche la consuetudine della chiesa, nell’esperienza del Papa Emeritus, Pontefice non più regnante ma sempre abitante in Vaticano, molte cose non si sono perfezionate. Non hanno trovato la propria collocazione e hanno inevitabilmente creato problemi. E non si tratta del colore dell’abito, delle dispute sul ministerium e il munus, la legittimità dell’atto e dei sigilli. Questi sono formalismi, o stupidaggini, che il più formalistico dei Pontefici, in senso alto, non ha mai nemmeno preso in considerazione. 

  
Sono altre le ambiguità non risolte – forse semplicemente perché il grande pensatore non rilevava ci fosse nulla da spiegare e aggiungere, “intelligenti pauca”. Così ad esempio il luogo. “Il recinto di Pietro” si è rivelato troppo vago e sguarnito come confine: con le continue incursioni di visitatori, il continuo occhieggiare indiscreto dei media (anche vaticani), le passeggiate, padre Georg, le Memores. Castel Gandolfo sarebbe stato più difendibile, ma ovviamente l’impegno troppo gravoso. Montecassino sarebbe stato perfetto, ma non certo per i figli di Benedetto. La Baviera sarebbe diventata un problema internazionale.

 

Ma soprattutto, c’è l’evidenza di Benedetto XVI che non ha mai saputo o voluto ritirarsi davvero dal mondo. E questo rimanere sulla soglia (del Soglio), in sé legittimo, umano, è stato spesso manipolato, o è sfuggito di controllo. Lo è stato ad esempio, il caso più eclatante, nella vicenda del libro pubblicato col cardinale Robert Sarah, in cui comparve, inizialmente, la firma di Benedetto XVI, poi corretta in fretta e furia perché il rischio che il volume fosse interpretato come una fonte di Magistero, e per giunta non in perfetta sintonia con l’attuale, era troppo grave.

 

O per il caso degli “appunti” che il professor Ratzinger aveva inviato alla rivista  Klerusblatt a proposito degli scandali morali della Chiesa tedesca, in cui non mancò di togliersi alcuni sassolini rispetto agli anni post Concilio in Germania.  Persino le 87 pagine inviate ai giudici tedeschi per difendersi su alcune vicende di pedofilia nel clero bavarese rischiarono di innescare cortocircuiti non voluti, ma nemmeno utili. Per i nemici, la conferma delle “colpe” dell’ex Pontefice; per i nemici di Bergoglio, al contrario, la conferma che “il vero Papa” fosse ancora lui. Sono molte le occasioni che l’Emerito ha, involontariamente, fornito soprattutto ai nostalgici di una lunga stagione ecclesiale e culturale per coltivare una sorta di storia alternativa del cattolicesimo.

 
Quando era sul Soglio di Pietro, Benedetto ha spesso scelto un modus regnandi che privilegiava la sottigliezza del consiglio, dell’insegnamento (e di una innegabile umana bonomia) alle decisioni eclatanti e d’imperio (che piacciono molto invece al suo successore). Viceversa, da Emerito, è sembrato a tratti che volesse esercitare una “leadership from behind”, certo non invasiva né irrispettosa rispetto a Francesco ma nemmeno silente. E’ qualcosa che ha avuto a che fare con l’intero pontificato di Ratzinger, un irrisolto dissidio interiore con il Potere. E qualche problema ne è sempre sorto. Così che ancora oggi chi ne aveva approfittato in passato prova e proverà a continuare a farlo. Sia chiaro, in tutto questo non c’è niente che sia nemmeno lontanamente imputabile a colpa per “questo uomo buono, mite, saggio, innocente”, come disse un altro Papa per un suo amico. Resta però che il prossimo Emerito, se mai ci sarà, dovrà riflette un poco di più sulle regole di ingaggio del suo nuovo ruolo. Non è obbligatorio che il suo destino sia consegnarsi al grande silenzio di una Grande Chartreuse, ma tante persone dentro e fuori la Chiesa, meno bene intenzionate di quanto lo sia stato in tutta la sua vita Joseph Ratzinger, avrebbero un’arma in meno.
 

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"