Foto di Michele Ricci, via LaPresse 

dall'archivio del Foglio

Effetto Ratzinger. Un pontificato in dissolvenza incrociata

Maurizio Crippa

Un Papa canuto dalla voce esile ed esatta, un Papa da Kammerspiel, inadatto all’ampiezza del gesto, che suona Mozart, ma presumibilmente senz’altro pubblico che i suoi pensieri. A white shade of pale 

Ripubblichiamo l'articolo di Maurizio Crippa uscito nel Foglio del 21 aprile 2005


 

C’era una volta un Papa che aveva per motto “non abbiate paura del video”. Poi venne un Papa pure avvezzo all’occhio di vetro, ma l’occhio di vetro non si spegne mai e ha registrato il primo momento sulla sacra loggia, il furtivo smarrimento del timido di vedersi visto, e la scelta di farsi schermo con la metafora evangelica. Un Papa in dimensione kolossal, il cui lungo regno e poi infinito tramonto hanno riempito di sé lo schermo del mondo, in un grande melò barocco e postmoderno. Dissolvenza incrociata. Un Papa canuto dalla voce esile ed esatta, un Papa da Kammerspiel, inadatto all’ampiezza del gesto, che suona Mozart, ma presumibilmente senz’altro pubblico che i suoi pensieri.

 

Come passare da Ben Hur a una commedia morale di Eric Rohmer. Un Papa dal colore pallido inizia a sovrapporsi, a whiter shade of pale, all’ipersaturo technicolor wojtyliano. Mentre i fedeli e i famigerati boys continueranno per un pezzo a vedere dietro di lui il viso a tinte slave del condottiero Karol, e i cronisti a sbagliare, a chiamarlo “cardinale Ratzinger”. Così il fumoso ma sempre evocato concetto del “pontificato di transizione” si invera in una curiosa transizione post mortem, fintantoché il prodigioso effetto di persistenza sulla retina dell’immagine di Giovanni Paolo II non sarà sfumato, in lenta e perfetta dissolvenza incrociata, depositando sugli occhi il profilo di Benedetto XVI. Eppure, forse la regia dello Spirito Santo (essendo regista onniscente, predilige il montaggio invisibile) avrà ragione anche in questo. Qualsiasi altro cardinale fosse sbucato sulla Loggia delle Benedizioni avrebbe causato uno stacco in nero secco come una ghigliottina.

 

E sarebbe stato schiacciato dall’improvviso cambio di scena da se stesso prodotto. Viaggiando, gli avrebbero rinfacciato di viaggiare troppo; non viaggiando, di non viaggiare; comparendo, di non comparire abbastanza; scomparendo, di scomparire un po’ troppo. Evitando le folle, l’avrebbero misurato sulla magnitudo oceanica del suo predecessore; incontrandole, avrebbero sospirato come quando si vorrebbe Marlon Brando e si ha sotto mano Castellitto.

 

Ulteriormente impallidito nel bianco del nuovo abito, il pallido principe di Baviera è invece l’unico a poter trapassare indenne questa via crucis mediatica, che è anche durezza dell’occhio – non necessariamente del cuore – dei fedeli. Nessuno gli imputerà di non viaggiare, se non lo farà, di non ballare con i giovani, se non ballerà. E nel caso, gli sarà consentito di farlo come saprà. E questo è un vantaggio non secondario di un uomo da oltre vent’anni conosciuto, che tanto i media e quanto il fedele mediatico hanno imparato a metabolizzare. E forse anche a farsi piacere. Un vantaggio che qualcuno avrà soppesato, nel segreto della Sistina.

 

Questo pegno da non pagare consentirà al nuovo pontefice non solo di mantenere il suo rapporto cordiale ma schivo con i giornalisti e con il popolo di Dio. Più importante, si può ipotizzare che gli consentirà di attuare quei piccoli, ma non trascurabili, aggiustamenti degli standard pontifici che sicuramente, per averlo detto in precedenza, ha in animo. Come una certa maggiore sobrietà nelle liturgie (la liturgia non è uno show, ha scritto in tempi non sospetti), o uno sfoltimento degli impegni che prevedano l’amplificazione televisiva (a suo tempo criticò l’eccesso di “eventi” del Grande Giubileo). Realizzando così un discreto down-sizing del papato carismatico – uno dei punti presenti nelle agende portate in Conclave da non pochi cardinali – senza dare però l’impressione di un rinnegamento, o di un brusco cambio di rotta. Sarà una lunga dissolvenza. L’effetto Ratzinger.

Di più su questi argomenti:
  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"