Marko Ivan Rupnik (Ansa) 

Il caso di padre Rupnik e la solita trasparenza vaticana

Il gesuita è coinvolto in una brutta storia riguardante presunte violenze psicologiche e fisiche, risalenti agli anni Novanta, nei confronti di alcune religiose. Fatti che sarebbero oggi prescritti ma sostanzialmente confermati da una dichiarazione della Compagnia di Gesù. Mentre il Vaticano tace sulla vicenda: perché?

Giorni fa, diversi siti internet specializzati in vicende ecclesiastiche avevano rivelato che il gesuita Marko Ivan Rupnik, tra le altre cose celebre artista conosciuto in tutto il mondo per i suoi mosaici, era coinvolto in una brutta storia riguardante presunte violenze psicologiche e fisiche nei confronti di alcune religiose. Vicende risalenti agli anni Novanta. Nel silenzio tombale della Santa Sede, è stata la Compagnia di Gesù a pubblicare una Dichiarazione che in sostanza conferma quanto fino a quel momento era niente di più che una serie di indiscrezioni: “Il Dicastero per la Dottrina della fede ha ricevuto una denuncia nel 2021” nei confronti di Rupnik “riguardante il suo modo di esercitare il ministero”.

Attivata l’indagine – non erano coinvolti minorenni – si è constatato che i fatti erano da considerarsi prescritti e quindi il caso è stato chiuso “all’inizio di ottobre di quest’anno”. Ricorda la Compagnia che “durante il percorso dell’indagine previa” a Rupnik erano state intimate “la proibizione dell’esercizio del sacramento della confessione, della direzione spirituale e dell’accompagnamento di esercizi spirituali. Inoltre, era fatto divieto a p. Rupnik di esercitare attività pubbliche senza il permesso del suo superiore locale. Queste misure” sono “tutt’oggi in vigore”. 

 

Problema: ma se i fatti sono prescritti, per quale ragione le dure misure sono ancora in vigore? Domanda ulteriore: perché è stato necessario che il web svelasse la storia affinché fosse accertato che non di chiacchiere si trattava ma di cose serissime? Ancora: accertato che il religioso continua a viaggiare in lungo e in largo ottenendo anche lauree honoris causa (l’ultima, in Brasile), per quale ragione il Vaticano non interviene come ha già dimostrato di sapere e poter fare in passato? Nel pontificato della trasparenza sbandierata ai quattro venti, della Chiesa finalmente divenuta  “casa di cristallo”, ci si sarebbe aspettati ben altro che il silenzio (forse) imbarazzato.

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