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La riscoperta del filosofo

Mounier, la guerra e l'Europa

Riflessioni a proposito di un libro del '39

Maurizio Crippa

Il pensatore cattolico francese scrisse un saggio di grande attualità distinguendo tra pacifismo imbelle, pace vera e necessità legittima di difendere la pace e la libertà anche con le armi. Ora viene valorizzato (a sinistra) in questa chiave

Non ci si batterebbe tanto intorno alla questione della pace se la parola non avesse contenuti ben diversi a seconda della bocca che la pronuncia”. E’ la frase con cui si apre il saggio di Emmanuel Mounier I cristiani e la pace. Tanto più potente se si pensa che fu scritta nel 1939, e da un filosofo cattolico per nulla bellicista ma che non considerava la pace come mera “assenza di guerra armata o di sangue versato”. Emmanuel Mounier (1905-1950), è stato uno dei maggiori filosofi del Novecento. Del volume appena uscito per Castelvecchi il Foglio ha pubblicato nei giorni scorsi la prefazione di Stefano Ceccanti, costituzionalista e deputato del Pd. Il testo incalzante di Mounier vale la pena di essere letto, tanto più in questi tempi, e l’introduzione di Giancarlo Galeazzi permette di conoscere un autore grande ma poco frequentato, persino dalla cultura cattolica. Il saggio mantiene la sua forza, anche perché nella temperie della guerra – e in questi decenni in cui il tradizionale schema pace-guerra è stato assai terremotato (un “disordine stabilito”, direbbe Mounier) un pensiero cristiano sulla pace che abbia rilevanza è raro.

Ceccanti, lettore implicato, sottolinea che da Mounier arriva innanzitutto un giudizio netto sul pensiero e la prassi cattolica: pace non è assenza di guerra. Mounier lo aveva capito mentre l’Europa si sdilinquiva nello “spirito di Monaco”, correlato necessario delle nefaste “conseguenze economiche della pace”. Mounier enuncia con chiarezza le stesse condizioni, quattro, che per la Chiesa giustificano il ricorso legittimo alle armi. La strada da trovare è tra “il rigetto sia del bellicismo sia di un astratto pacifismo”. O il “pacifismo dei tranquilli”, come la sua forte tempra spirituale lo porta a scrivere. Nelle sottolineature di Ceccanti, l’interesse per le posizioni di Mounier è nel fatto che indicano la necessità di “lavorare simultaneamente sulla trasformazione delle istituzioni e degli individui”. Cioè, mentre si educa alla pace, “ad allentare la servitù della forza” bisogna cercare in un contesto giuridico e politico più ampio che quello degli stati le basi di una guerra “giusta”, quando necessaria.

 

Per la Chiesa del post Concilio, è stata la barra della “legittimazione dell’Onu” a ogni intervento. Per la parte politica che Ceccanti rappresenta, può essere  e deve essere sempre più la legittimità dell’Unione europea (e di un suo strumento bellico difensivo). Mounier come ispiratore della difesa integrata europea, è un buon recupero. Si vedrà se porterà anche a una riscoperta del Mounier filosofo del personalismo e del comunitarismo, che cercò di uscire dalle strettoie degli immanentismi del Novecento ma anche di un cristianesimo solo formale. Mounier era stato molto dimenticato, anche dalla cultura cattolica, specialmente quella post conciliare più incline al sociologismo. Uno straniero, per dirla con Eliot, spesso liquidato come un spiritualista. Un altro motivo interessante, su cui insiste Ceccanti, è che la riflessione di Mounier è legata anche al dibattito e alla formulazione dell’art. 11 della Costituzione, il ripudio della guerra. Ma per segnalarne un’apertura che è il contrario del pacifismo integrale che ne ha fatto per decenni un baluardo.

Spiega Ceccanti che oltre al rifiuto della guerra è cruciale anche la seconda parte dell’art. 11 che apre “alle limitazioni di sovranità necessarie a un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni”. La sovranazionalità come legittimazione (anche) religiosa dei conflitti. Una visione che segna anche un cambio di marcia. Basterebbe ricordare che Dossetti fu contrario all’adesione alla Nato, che accettò con difficoltà. Anni dopo il gran cardinale Lercaro, il suo paladino, fu rimosso da Bologna da Paolo VI per le sue posizioni sul Vietnam. C’è fortunatamente un’evoluzione, pur nell’apparentemente immoto pensiero cattolico. La prefazione di Ceccanti è dedicata a Nino Andreatta, discepolo di Dossetti e padre politico di Ceccanti e di Enrico Letta. E il senso della dedica è una lezione di Andreatta su “l’Europa necessaria, il riformismo possibile”. Diceva Mounier: “La guerra per il cristiano non comincia con il moltiplicarsi dei morti e nemmeno con l’uso della violenza fisica. Ma si inserisce tra la pace vissuta interiormente e l’odio interiormente accettato”.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"