(foto Olycom)

Kirill s'aggrappa all'incontro con il Papa per uscire dall'angolo

Il metropolita Hilarion di Volokolamsk "spera" che Francesco e il Patriarca di Mosca possano incontrarsi entro l'anno. Di certo, non potrà essere la riedizione del colloquio del 2016 all'Avana

Matteo Matzuzzi

Kirill ha la necessità di recuperare terreno e parte di quella leadership morale persa tra una benedizione dei tank del Cremlino mandati a bombardare Mariupol e una giustificazione “metafisica” dell’aggressione

Roma. Il metropolita Hilarion di Volokolamsk, presidente del Dipartimento delle relazioni esterne del Patriarcato di Mosca, ha ribadito quanto è noto da tempo, e cioè che è in preparazione un incontro tra il Patriarca Kirill e Papa Francesco. “Spero si svolga entro quest’anno”, ha aggiunto, venendo subito ripreso dall’ambasciata russa presso la Santa Sede. Niente è definito, il percorso è ancora lungo e parecchio lavoro resta da fare per fissare una sede e il programma dell’incontro. Di certo, però, appare evidente come sia ora Mosca ad auspicare un nuovo abbraccio tra i due leader spirituali, cercando il più possibile di accelerare i tempi. La ragione è semplice, l’invasione russa dell’Ucraina ha messo Kirill in un angolo: davanti ai suoi occhi si è manifestata la frattura in seno all’ortodossia, che già non se la passava bene dopo quanto accaduto negli anni scorsi tra il Patriarca di Mosca e Bartolomeo di Costantinopoli. Ora, Kirill ha visto preti e vescovi a lui obbedienti evitare di pronunciarne il nome durante le divine liturgie. Un affronto senza precedenti, acuito dalla netta presa di distanza del metropolita di Kyiv Onufri, che pure sarebbe alle dipendenze di Mosca. Kirill ha la necessità di recuperare terreno e parte di quella leadership morale persa tra una benedizione dei tank del Cremlino mandati a bombardare Mariupol e una giustificazione “metafisica” dell’aggressione.

 

La disponibilità della Santa Sede c’è, come dimostrato anche dal recente colloquio da remoto che ha riaperto un canale di dialogo che sembrava interrotto dopo le omelie domenicali in cui Kirill si schierava integralmente dalla parte di Vladimir Putin. Le cose dal primo (e finora ultimo) incontro, quello che ebbe luogo in una saletta dell’aeroporto dell’ Avana sotto lo sguardo gaudente di Raúl Castro, sono però profondamente cambiate e il prossimo colloquio non potrà seguire lo stesso canovaccio: photo opportunity, abbraccio, frasi di circostanza e soprattutto la firma di una Dichiarazione in cui c’era tutto quel che voleva Mosca e ben poco dei desiderata romani – nessuna sorpresa, dal Vaticano fecero sapere subito che era il gesto storico che contava, più che le parole messe per iscritto in un documento del genere. Non si potrà più aggirare il “problema” ucraino, derubricando le mire russe a qualcosa di simile a scaramucce tra vicini un po’ esuberanti. Nel 2016, infatti, due anni dopo l’annessione della Crimea da parte di Putin, si levò sonora la protesta dei greco-cattolici ucraini davanti alla Dichiarazione sottoscritta anche dal Papa che chiamava entrambe le Parti a darsi una calmata. Espresse imbarazzo anche l’allora nunzio a Kyiv, mons. Claudio Gugerotti, che infatti invitò i locali a non badare troppo alle cose scritte e più alla sostanza e cioè alla vicinanza della Chiesa di Roma alle popolazioni locali. Il Pontefice ha a cuore la ripartenza del dialogo ecumenico, ancora di più ora che Kirill e Bartolomeo pensano più alle scomuniche reciproche che alle fraterne benedizioni. Più arduo – anche perché non rientra nei piani della Santa Sede – inserirsi nella partita politica che vede il Patriarca moscovita offrire la cornice “spirituale” al disegno nazionalista e misticheggiante putiniano che vede nell’unione della santa madre Rus’ la meta finale

  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.