Vergogna, dolore, Vangelo. La risposta cristiana di Benedetto XVI al vile attacco

Il Papa emerito prende carta e penna e risponde all'accusa di aver coperto, tra il 1977 e il 1982, quattro sacerdoti pedofili. Ringraziamenti a Francesco

Matteo Matzuzzi

Ratzinger cita la memoria difensiva inviata a Monaco dicendosi “profondamente colpito che la svista sia stata utilizzata per dubitare della mia veridicità e addirittura per presentarmi come bugiardo”

Roma. La risposta di Benedetto XVI a chi gli chiedeva di parlare dopo l’accusa d’aver coperto tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli Ottanta quattro sacerdoti abusatori sessuali è arrivata. All’ora di pranzo la Sala stampa vaticana ha diffuso una lettera firmata dal Papa emerito (il testo integrale è pubblicato nell’inserto I). Benedetto XVI parla da cristiano, dopo aver meditato “in questi giorni di esame di coscienza”, ricorda che “ben presto” si troverà “di fronte al giudice ultimo” della sua vita, pronto ad “attraversare con fiducia la porta oscura della morte”. Ratzinger rimanda al Vangelo, scrive di comprendere “il ribrezzo e la paura che sperimentò Cristo sul Monte degli Ulivi quando vide tutto quanto  di terribile avrebbe dovuto superare interiormente”.

 

Benedetto XVI ribadisce che l’aver negato la partecipazione a una riunione nel 1980 è una svista (peraltro che l’allora arcivescovo fosse presente è messo nero su bianco nella biografia curata da Peter Seewald, quindi nessun mistero), ma aggiunge di essere “profondamente colpito che la svista sia stata utilizzata per dubitare della mia veridicità e addirittura per presentarmi come bugiardo”. Ratzinger non deve alcuna scusa e pur ribadendo di provare “profonda vergogna”, “grande dolore” e “sincera domanda di perdono”, ricorda che il problema degli abusi che sta lacerando la Chiesa è ben più grande della sua persona, perché “noi stessi veniamo trascinati in questa grandissima colpa quando la trascuriamo o quando non l’affrontiamo con la necessaria decisione e responsabilità, come troppo spesso è accaduto e accade”. Non c’è l’ombra di una giustificazione, nella lettera, anzi: il Papa emerito scrive di avere “avuto grandi responsabilità nella Chiesa cattolica”, ma non elenca tutte le azioni – segrete e pubbliche – messe in campo prima in qualità di titolare dell’ex Sant’Uffizio e poi da Pontefice. Avrebbe potuto farlo se fosse stato trascinato in un tribunale, capro espiatorio individuato soprattutto al di là delle Alpi, dove si è deciso di arrivare alla resa dei conti con il più  grande ostacolo vivente alla svolta da decenni invocata e ora delineata nel percorso sinodale biennale che ha già comunicato a Roma l’intenzione di aprire al sacerdozio femminile e farla finita con il celibato.

 

Il presidente della Conferenza episcopale tedesca, Georg Bätzing, aveva preteso le scuse del Papa emerito, lodando invece il buon cuore del cardinale Reinhard Marx, capofila di quanti vorrebbero far confluire qualche ettolitro del Reno nel Tevere e che pure lui, però, nel dossier indipendente di Monaco è finito. Benedetto XVI lascia da parte i toni burocratici, fa sì che siano i legali e “il piccolo gruppo di amici che, con abnegazione, per me ha redatto la memoria di 82 pagine” a occuparsi di smentire accuse e ipotesi. Ricorda “la fiducia, l’appoggio e la preghiera che Papa Francesco mi ha espresso personalmente”. Padre Federico Lombardi, già direttore della Sala stampa vaticana, dice a Vatican News che “questa lettera manifesta un atteggiamento penitenziale profondissimo e molto sincero, di coinvolgimento e di condivisione della sofferenza delle vittime ma anche di tutto ciò che questo ha significato, non solo per le vittime ma anche per la comunità ecclesiale. E questo atteggiamento penitenziale sincero davanti a Dio è una grande testimonianza cristiana che egli ci dà”. 

  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.