Joe Biden e Papa Francesco (foto LaPresse)

La comunione a Biden una deroga alla buona. Più coraggio, caro Papa

Giuliano Ferrara

Quella di Francesco sembra una scorciatoia casuistica. Tanto varrebbe allora riformare e cambiare l’impianto dottrinale. Serve ancora uno sforzo

1385 Per rispondere a questo invito dobbiamo prepararci a questo momento così grande e così santo. San Paolo esorta a un esame di coscienza: “Chiunque in modo indegno mangia il pane o beve il calice del Signore, sarà reo del corpo e del sangue del Signore. Ciascuno, pertanto, esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna” (1 Cor 11,27-29). Chi è consapevole di aver commesso un peccato grave, deve ricevere il sacramento della Riconciliazione prima di accedere alla Comunione.
   

1415 Chi vuole ricevere Cristo nella Comunione eucaristica deve essere in sta to di grazia. Se uno è consapevole di aver peccato mortalmente, non deve accostarsi all’Eucaristia senza prima aver ricevuto l’assoluzione nel sacramento della Penitenza.
In teoria a me, che non mi sono mai confessato né comunicato, e lo dico senza boria, forse avrei fatto bene a farlo, importa poco che il Papa abbia autorizzato Biden a prendere l’ostia consacrata. 

 

In pratica, dico nella mia ragion pratica o morale, questa autorizzazione mi sembra un gesto di amore pastorale per la persona (Biden o altri) e di rottura dottrinale con una tradizione così chiaramente e puntigliosamente e gioiosamente evocata nel Catechismo della chiesa cattolica. Che l’amore per la persona sia superiore alla devozione per il sacramento in cui culminano vita e gloria del corpo di Cristo, cioè della chiesa che lo ricorda e celebra in forma comunionale, può essere scandalo per un cattolico praticante e confessante, per me è incomprensibile semplicemente. Mi sembra una scorciatoia casuistica, un’eccezione alla legge suprema liberamente stabilita nei secoli della successione apostolica, un inciampo nel cammino del popolo di Dio. Mi sembra come se si dica: il mio amore per te, nutrito di fede personale e umanità, è superiore a quello di Cristo e al tuo amore per Cristo. 

 

Sarebbe diverso se la chiesa, che è ricca di fior di teologi, ha nel suo seno grandi scrittori e esegeti, detiene autorità suprema e carismatica sul deposito della fede, decidesse di rivedere, riclassificare, riformare la prodigiosa impalcatura che è la celebrazione eucaristica. Se il culmine della messa cattolica è quello indicato nel Catechismo, sulla scorta del vangelo (comprensivo delle Lettere paoline) e dell’insegnamento dei Padri, una persona impegnata nel perseguimento dell’aborto come diritto, e nella sua sanzione legale, come certamente è il presidente Biden, non può ricevere la comunione, che sarebbe la sua condanna in coscienza, dalle mani di un sacerdote e, per via discendente, dal vescovo, dal Papa, infine da Cristo stesso che spezza il pane e leva il calice. 

 

Le pagine del Catechismo sull’Eucaristia sono molto belle, comunque la si pensi la si senta e comunque si pratichi la vita, e definitive, a loro modo, nel definire che cosa è la cattolicità cristiana. In quelle righe e tra le righe leggi una logica stringente, una resa teatrale, spettacolare, del percorso liturgico per il quale e attraverso il quale la chiesa si mostra corpo del Signore per i vivi e per quelli di prima e per quelli di dopo (e per quelli mai nati), in un sentimento interno del tempo e del ricordo pasquale che sa di eternità e di libertà. Ma sono parole umane che interpretano segni e illuminazioni del divino, e come tali possono cambiare. Sarebbe un atto di coraggio, quello sì, non derogare alla buona e contraddittoriamente all’impianto, ma riformare, cambiare, correggere l’impianto dottrinale, in quello che il cardinale Newman chiamerebbe “uno sviluppo della dottrina cristiana”. Francesco, ancora uno sforzo.   

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.