Più Gotham che Sin City. New York è religiosa

Philip Jenkins

La Grande Mela città del peccato? Ma quando mai, è la capitale della fede

Pubblichiamo un estratto dell’articolo “Più Gotham che Sin City: la religione a New York”, apparso sull’ultimo numero di Vita e Pensiero (2/2021)


 

Si pensi alla città di New York; sicuramente la nostra mente immagina varie cose: grande ricchezza e grave povertà, visioni sociali liberali e progressiste e radicalismo. Ma, con molta probabilità, non pensiamo alla religione e alla fede. Nel contesto americano, New York sembra essere senza dubbio il centro di un secolarismo radicato e implacabile. Gli evangelici talvolta la chiamano Sin City – la città del peccato – o addirittura Sodoma sull’Hudson, e pure gli autori satirici di oggi usano, in modo semiserio, le stesse espressioni. Eppure, molte evidenze indicano un quadro ben differente.

 

Di recente, l’illustre storico Jon Butler ha pubblicato un bellissimo libro dal titolo God in Gotham: The Miracle of Religion in Modern Manhattan (Cambridge, MA-London, Harvard University Press, 2020), in cui smentisce molti dei suddetti stereotipi. Ma questo non è solo un libro audace. Molti studiosi hanno riconosciuto un fatto che per le strade della città appare ovvio e che riguarda il ruolo centrale della fede. New York sta al cuore del passato, presente e futuro della storia religiosa d’America. Indagherò questo aspetto attraverso il lavoro di Butler, ma anche di altri due osservatori d’eccellenza: Robert Orsi e Tony Carnes. Per cominciare, una spiegazione: “Gotham” è il nome tradizionale popolare per indicare la città; termine ben conosciuto in tempi moderni nella sua versione “Gotham City”, dell’universo immaginario di Batman. Butler mostra come Gotham non solo continua a sopravvivere in New York, ma fiorisce fino a diventare quella che egli chiama “la serra urbana di Dio”. Come poteva essere altrimenti? Gotham è stata la città per eccellenza degli immigrati, che hanno trovato sostegno e sollievo non nel governo, ma nelle istituzioni popolari e nei vari enti religiosi, chiese e sinagoghe. Popoli che non si potevano certo dire profondamente religiosi nei loro paesi d’origine, ora nel Nuovo Mondo sono diventati strettamente osservanti. La religione era fondamentale per la loro identità e poco separabile dalla cultura e dall’etnia. Incontrando uno straniero, i cattolici di città non chiedevano mai la zona precisa o il quartiere di provenienza, ma domandavano sempre: “Da che parrocchia vieni?”. E quindi la storia etnica è storia religiosa, ed è il fondamento della storia urbana.

 

Questa è la società metropolitana che Jon Butler ritrae con dettagli affettuosi; in particolare egli ben descrive come la religione ha modellato il panorama urbano. L’attività edilizia è sempre stata intensa, con tutto ciò che vi è implicato quanto a raccolta fondi e investimenti. Guardate solo ad alcune delle imponenti chiese che dominano il paesaggio newyorchese, soprattutto un nucleo come la cattedrale di St. Patrick sulla Quinta strada. Per un secolo fu conosciuta come “The Powerhouse” (la Centrale) per l’enorme influenza che il clero esercitava su molteplici aspetti della vita cittadina e, soprattutto, politica. Butler ha molto da raccontare anche sull’incontro della religione con l’arte e l’architettura, con la cultura più alta, e come poteva ciò non accadere in questa capitale nascente della modernità e del Modernismo? Con tutti quei nuovi edifici ed elementi decorativi, le opportunità per mecenati e committenti erano allettanti. Egli fa un racconto esaustivo delle realtà ordinarie quotidiane riguardanti la religione, di come chiese e sinagoghe si organizzavano e impiegavano le nuove opportunità tecnologiche per entrare in contatto con una realtà esterna più grande. Anche un fatto semplice come l’avvento dell’energia elettrica trasformò la vita delle grandi chiese urbane, rendendole rilevanti centri di progresso all’avanguardia. In questo e in altri aspetti, New York ha dato l’esempio a gran parte del mondo, segnando il passo.
 

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