La chiesa non sia timida e sottomessa

Dialogo sul Figaro fra Padre Emmanuel-Marie e Pascal Bruckner sul virus e la nostra fragilità

Questo articolo è stato pubblicato su Un Foglio Internazionale: spunti e segnalazioni dalla stampa estera a cura di Giulio Meotti


  

Il primo è arciabate dell’abbazia di Lagrasse, nel dipartimento dell’Aude, e vive secondo la regola di Sant’Agostino. Il secondo è scrittore, membro dell’Académie Goncourt e agnostico. Il Figaro ha fatto dialogare colui che crede nell’aldilà e colui che non ci crede sul tema dello sconvolgimento che ha attraversato la società in occasione dell’epidemia da coronavirus.

 

Le Figaro – Questa crisi del coronavirus ha mostrato che le nostre società erano pronte a bloccare tutto per proteggere i più deboli. Non è forse un segno di civiltà? Secondo lei questa attenzione è figlia delle nostre radici cristiane?

 

Padre Emmanuel-Marie Le Fébure – Sì, è un bellissimo segno. Mi viene in mente questa frase di Madre Teresa: “Si giudica una civiltà dalla maniera in cui tratta i suoi membri più deboli”. La grandezza di una società risiede nella sua capacità di mettere la sua forza al servizio dei più vulnerabili. Dobbiamo rendere omaggio al personale sanitario e a tutti quelli che hanno preso dei rischi. Hanno dimostrato che la nostra società ha ancora coraggio e senso del sacrificio. Tuttavia, “salvare delle vite a ogni costo” è uno slogan che può rivelarsi problematico se la vita si riduce a una statistica per un telegiornale della sera. La vita, per la civiltà cristiana, è molto più di un numero di persone salvate dalla morte in una visione puramente biologica e matematica. La vita non è riducibile a una fuga disperata dalla morte; la vita è l’eternità in divenire. L’autorità politica che ha la responsabilità del bene comune deve tener conto dell’economia, dell’educazione, delle relazioni sociali, ma lasciare anche uno spazio alla speranza nel senso cristiano del termine. Una paura eccessiva della morte biologica può far dimenticare quella che è la peculiarità di una vita umana.

 

Da non credente e osservatore esterno, attendo l’elezione di un Papa combattivo, magari di un cardinale africano, in un continente dove i cristiani sono massacrati dai jihadisti

Pascal Bruckner – Effettivamente, questo liberalismo che definivamo disumano – ricordiamoci lo slogan del Nouveau parti anticapitaliste “Le nostre vite valgono di più dei loro profitti” – ha abbandonato le sue logiche di profitto per salvare dei corpi. Il cristianesimo sparisce da una società dove i valori cristiani sono talmente infusi che siamo cristiani in tutti i sensi del termine, anche quando non vi crediamo più. Il valore evangelico che ha trionfato durante questo periodo è il comandamento della carità. Gli operatori sanitari, ma anche quelli che svolgono i mestieri più umili, netturbini, fattorini, cassiere, hanno dato anima e corpo permettendo di tenere in piedi la nazione. Senza la tenacia di tutti questi invisibili, il paese sarebbe sprofondato. Tuttavia, l’aver salvato la vita per la vita ha incontrato delle opposizioni. Un rimprovero di “sacrificio generazionale” è apparso a partire da fine marzo: si uccideva il futuro dei giovani per mantenere in piedi dei settantenni malaticci. Persino alcuni filosofi umanisti hanno denunciato questa inversione delle priorità. Non avremmo dovuto confinare, l’utilizzo della maschera è un insulto alla libertà. Una generazione di gradassi afferma retrospettivamente che avremmo dovuto prendere più rischi e pazienza per le perdite. E’ facile essere lucidi dopo la battaglia. Nelle situazioni di crisi, bisogna sempre ripensare alla frase di Raymond Aron: al posto del governo cos’avrei fatto? Dinanzi a una malattia che ha rivelato l’uomo nella sua nudità, l’umiltà mi sembra preferibile alla spacconeria.

 

Padre Emmanuel-Marie Le Fébure – Ciò che mi sembra paradossale, è che alcune voci della politica e dell’associazionismo si ergono ad avvocati di una richiesta di eutanasia sempre più forte, riguardo alle persone per cui è stata bloccata l’intera società durante la crisi. C’è un’incoerenza: perché sarebbe legittimo far morire in maniera asettica, assistita, razionalizzata gli stessi per cui molti si sono sacrificati?

 

Cosa ci dice la nostra gestione dell’epidemia del rapporto con la morte nelle nostre società?

 

Noi paghiamo la conseguenza dei nostri progressi: la medicina e l’igiene permettono a delle persone che sarebbero morte fino a mezzo secolo fa di sopravvivere

Padre Emmanuel-Marie Le Fébure – La nostra società dell’efficienza si vergogna di constatare la sua impotenza dinanzi alla morte. Essa viene nascosta, occultata come uno scandalo. Molti sono morti da soli all’ospedale. Ma la morte appartiene alla vita come il suo ultimo atto. Un atto molto personale, ma anche sociale. Bernanos osa affermare, in una prospettiva cristiana, che si muore per gli altri. E’ terribile morire senza gli altri. Privando gli uomini della morte naturale, si nega la dignità della loro vita. Per la Chiesa, il rispetto della vita ci impone di non abbandonare la morte alla sola tecnica.

 

Pascal Bruckner – La strategia sanitaria della Francia è stata quella di sacrificare diversi miliardi per delle persone il cui valore materiale diminuisce, ma il cui costo è immenso. Alcuni hanno avanzato l’argomento utilitarista: si sacrificano i viventi per i quasi morenti, poiché la morte negli Ehpad (le case di cura francesi, ndr) si sarebbe comunque verificata poco dopo. Non è degno dei valori che mostriamo nelle nostre società. La morte in quanto cultura si è evaporata nelle nostre società: si parla di “scomparsi”, non si porta più il lutto. Tolstoj nella “Sonata a Kreutzer” notava un fenomeno destinato ad amplificarsi: la pornografia della morte. Oggi la morte è la vera pornografia, non è più la sessualità. Viene ricoperta di un velo di pudore. Ma la morte torna sempre a ricordarci che esiste.

 

La sospensione dei riti mortuari costituisce secondo lei un precedente grave e inedito?

 

Padre Emmanuel-Marie Le Fébure – Ci siamo rifiutati di guardare in faccia la morte. Credo tuttavia che sia sano avere paura della morte. Il Cristo stesso ha tremato davanti alla sua passione. Una società è tanto più civilizzata quando riesce a trasfigurare la morte, a farne un rito. Un rito che non ha nulla di magico, ma che è una forma di accompagnamento personale, una mano stretta, uno sguardo, ma anche un atto religioso e sacro, una porta verso l’eternità. Penso che la sospensione dei riti funerari lascerà le tracce di un traumatismo collettivo e numerose ferite tra coloro che non hanno potuto accompagnare i loro cari. Come prete ho ricevuto delle testimonianze di persone che affermavano che i loro cari non erano morti fisiologicamente di Covid, ma per la paura di essere abbandonati (…).

 

La chiesa ha avuto molte difficoltà a formulare un discorso diverso da quello sanitario e sociale durante l’epidemia. Non è forse il segno che non ha più messaggi da trasmettere a una società scristianizzata? La sua missione consolatrice non è forse obsoleta?

 

Padre Emmanuel-Marie Le Fébure – Dinanzi all’onnipresenza della morte, i media si sono naturalmente rivolti verso la Chiesa. Avevano bisogno di una parola di fede e di speranza nell’eternità ed è stata trasmessa con forza da alcuni vescovi. Ma è vero che a volte abbiamo paura di svolgere pienamente il nostro ruolo. I chierici non devono dare l’impressione di farsi perdonare di esistere e accontentarsi di essere dei semplici anelli di una catena sanitaria.

 

Pascal Bruckner – Ciò che è mancato in questo periodo è una grande parola spirituale. I greci dicevano che alle grandi tragedie bisognava opporre dei grandi discorsi. Non ho sentito Papa Francesco pronunciarli, se non per augurarsi che le marce per il clima riprendano. Trovo di corto respiro questo modo di seguire in maniera passiva. E’ mancata una parola più profetica, anche solo sul rapporto dell’uomo nei confronti della malattia e della morte. Ci sarebbe stato un bel discorso da fare sui limiti della modernità e della scienza.

 

Padre Emmanuel-Marie Le Fébure – L’arcivescovo di Parigi ha utilizzato delle parole forti, come prete e come medico. Ma forse non siamo stati sufficientemente forti. Siamo stati troppi timidi per proclamare che solo la fede permette di sconfiggere la morte. Forse abbiamo avuto paura di affermare apertamente che l’abbandono dei malati era una malattia più grave del virus stesso.

 

Pascal Bruckner – La chiesa è troppo timida, e su molti altri temi oltre alla crisi sanitaria! Non si fa sentire abbastanza, è nella sua eccessiva umiltà, tende la guancia sinistra quando la sua guancia destra riceve uno schiaffo, predica la tolleranza a qualsiasi costo. Si sottomette troppo ai costumi di oggi. Come osservatore esterno e non credente, attendo l’elezione di un Papa combattivo, magari di un cardinale africano, in un continente dove i cristiani sono massacrati dai jihadisti, un Papa che predichi l’elevazione spirituale, il raccoglimento tanto quanto la resistenza.

 

Questa crisi ha rivelato anche il nostro rapporto con i più anziani: la questione degli Ehpad e del loro abbandono, così come quella di un eventuale confinamento prolungato dei senior, hanno mostrato la difficoltà di integrare le età nelle nostre società occidentali. Cosa significa secondo lei?

 

Pascal Bruckner – Non sono sicuro che le persone anziane siano trattate meglio altrove che in occidente. In India, in Cina, non ci sono le pensioni, e i vecchi quando non hanno più famiglia finiscono in una situazione di miseria totale. Noi paghiamo la conseguenza dei nostri progressi: la medicina e l’igiene permettono a delle persone che sarebbero morte fino a mezzo secolo fa di sopravvivere, ma talvolta paralizzate da malattie degenerative. Si parcheggiano negli Ehpad le persone che le famiglie non vogliono più. Le famiglie poi si sentono in colpa e protestano allo stesso tempo contro il costo di queste strutture. Sentirsi attore di pieno diritto nel mondo fino alla fine è la definizione di una vecchiaia degna. In ogni caso, mantenere i propri cari a casa, quando è possibile, è preferibile a ogni altra soluzione.

 

Padre Emmanuel-Marie Le Fébure – Credo che il sistema degli Ehpad possa essere migliorato per creare dei legami più solidi tra le generazioni e non partecipare a questa cultura dello smaltimento condannata da Papa Francesco. Per il cristiano, la vecchiaia non è un semplice fine, ma un inizio, che apre verso l’eternità.

 

(Traduzione di Mauro Zanon)

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