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Farsi guidare dal cardinale di Bologna Zuppi nei territori dell'odio (o del diavolo)

Maurizio Crippa

Salvini c’entra, ma il posto più pericoloso è la chiesa. Il libro del vescovo di Bologna “Odierai il prossimo tuo”, i social, la paura come un peccato

Quando è uscito, un paio di mesi fa, stava detonando la battaglia politica per l’Emilia-Romagna e venne facile incasellarlo come un libro contro Salvini, sprecando la lettura. Del resto si era nel clima della furiosa (nel senso di Orlando) tempesta dottrinale-sostituzionista dei tortellini senza carne (lui non c’entrava, ma nel libro ricorda che pure Papa Francesco, giunto a Bologna, fu accusato di sacrilegio per aver portato i poveri a mangiare dentro a San Petronio). E si era al debutto della campagna elettorale a trazione identitaria della Lega. Per aprirla, del resto, Matteo Salvini aveva scelto un poeta battezzato, un intellò del suo giro, a snocciolare al colto e all’inclita i pregi dell’identità cattolica della grassa terra tra l’Appennino e il mare. Invece il cardinale di Bologna, l’arcivescovo Matteo Maria Zuppi, con l’aiuto di Lorenzo Fazzini se usciva con un libro di riflessioni dal titolo “Odierai il tuo prossimo - Perché abbiamo dimenticato la fraternità”. Ce n’era di che liquidarlo senza leggerlo. Ma il libro parla di molto altro che non di sardine e acque limitrofe. Parla, soprattutto, delle radici dell’odio sociale e dell’odio interno alla stessa chiesa (altra attualità, molto social anche quella).

 

Non che Zuppi si nascondesse dietro a un dito su temi e giudizi, ovviamente, per quanto la politica politicata né tantomeno elettorale venga mai nominata. La storia del pastore di Bologna inizia del resto “all’interno della Comunità di Sant’Egidio, alla quale sono legato fin da ragazzo” e che fin da quandoRoma era una città meno di migranti ha “praticato molto presto l’accoglienza nei confronti di tutti”, nonché la virtù e l’arte diplomatica del dialogo per le quali è famosa dentro e fuori la chiesa. Le idee del cardinale sul dovere dell’accoglienza “gratuitamente, solo per incontrare l’altro, primo gesto di riguardo e di comunione”, quelle sui migranti e persino quelle sul rapporto-non rapporto con l’islam, sono perfettamente nel solco di Francesco, questo lo si sapeva anche prima che “Odierai il prossimo tuo” arrivasse in libreria. Un capitolo si intitola “Islam, la nuova fobia” e sembra fatto per scatenare la destra religiosa e l’elettorato salviniano (in larga parte sono sinonimi). Ma siccome il tema del libro sono le riflessioni “sulle paure del tempo presente”, fra le tante ce n’è una che può aiutare a togliere il dibattito sulle identità religiose dalle secche in cui è infilato, e di cui i citofoni bolognesi di Salvini sono solo la caricature. Di fronte a una massiccia presenza di musulmani, scrive Zuppi, “abbiamo il compito di difendere l’umanesimo”. Ma lo collega alla domanda evangelica “su cui anche il cardinale Giacomo Biffi, prima di me, si è interrogato spesso: ‘Quando il figlio dell’uomo tornerà, troverà ancora la fede sulla terra?’”. Un modo diretto, più pastorale che dottrinale, per mettere il dito in quel che non funziona, molto spesso, nell’atteggiamento dei cristiani (per non dire dei laici) nella reazione identitaria sull’islam. Che è appunto spesso solo identitaria, impaurita, e non sa proporre altro di sé. Perché, “se siamo immersi nel relativismo”, dice riassumendo un pensiero tipico di Biffi, “si finisce per perdersi, nulla si distingue per valore proprio, e questo genera confusione e smarrimento”. La sfida dell’islam, dice insomma Zuppi, per i cristiani è soprattutto una sfida alla qualità della propria fede, e anche della propria cultura. Il libro è frutto di conversazioni e Zuppi parla, di suo, una lingua piana, comprensibile a tutti – dentro e fuori la chiesa – che può far sospettare a chi predilige l’esposizione teologica una scarsa propensione all’approfondimento. Ma così non è, è una scelta. Zuppi appartiene alla schiera dei vescovi che provengono da una lunga esperienza pastorale, che fa perdere il gusto di parlare difficile, se mai lo ha avuto. Fin qui, i temi di attualità “politica” e le indicazioni pastorali. E si può stare certi che qualcuno, lunedì, andrà a misurare quale effetto o effetto contrario delle parole del vescovo di Bologna avranno avuto sul popolo elettore.

 

Il libro di Zuppi in realtà parla anche di altro, e di più profondo. A tema c’è l’odio, “il crescente e latente rancore presente nella società italiana” (ma può valere per tante società) che si declina nei modi che ormai tutti abbiamo imparato a catalogare. Che per Zuppi hanno una sola radice comune: la paura. Una paura illuminata dalla sua radice biblica: “L’odio ha sempre accompagnato la condizione umana. Secondo la tradizione ebraico-cristiana si tratta del frutto del peccato originale, cioè del profondo sospetto nei confronti di Dio e dei fratelli che portiamo nella nostra anima: la paura che l’altro non voglia il nostro bene”. Se Zuppi avesse voluto fare un discorso di alta teologia, il “sospetto nei confronti di Dio” gli avrebbe offerto la chiave di molti problemi. Alla radice dell’hate speech, la Rete come una “entità senza perdono” dello scontro politico divenuto tribale, del femminicidio (uh, un vescovo che parla di femminicidio) c’è un sospetto sulla natura dell’essere che affonda in territori infinitamente anteriori alla nascita di Facebook. Zuppi li elenca con semplicità, e sempre rapportandoli alla domanda su quel che deve fare un cristiano Il che porta alla parte forse più importante, e puntuta, delle sue riflessioni. E’ il capitolo, significativamente fra i primi, intitolato “Anche nella chiesa (ci) si odia”. Che è la dolorosa constatazione di un pastore su qualcosa di eterno, il “Divisore” è sempre all’opera. Ma nel tempo recente, vuoi la radicalizzazione dei linguaggi, vuoi l’essersi conformati troppo alla mentalità di questo secolo (per Zuppi più la seconda), il tasso di divisione nella chiesa è diventato più livoroso. “In nome della verità e spesso in buona fede”. Gli esempi sono semplici: i Papi. Fu criticato aspramente Giovanni XXIII, fu attaccato persino a livello personale Paolo VI. Giovanni Paolo II subì attacchi sia da sinistra che da destra, Benedetto XVI sia da destra che da sinistra. Ma, annota Zuppi, “assistiamo a un’insistenza e a un’amplificazione delle critiche che ci sembrano inedite per virulenza e volgarità di linguaggio”. Tema, come si vede, anche più attuale delle elezioni. Da che parte stia Zuppi, non è a tema. E’ più interessante lo stile piano con cui prova a dare un esempio di non-hate speech ecclesiale. E poi, questo giudizio: “Io penso che la polemica fondata sulla convinzione di essere nel giusto e condotta in nome del ‘bene supremo’ della chiesa proviene dal Maligno. Anzi è l’inganno peggiore del Tentatore, che usa, come sappiamo, la stessa Parola di Dio per confondere Gesù nel deserto”.

  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"