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OMELIE EDITE E INEDITE DEL PAPA EMERITO

Chi ha detto che Benedetto XVI non ama il dialogo e demonizza il dubbio? Un libro

Ubaldo Casotto

I Sacramenti, segno di Dio nel mondo. Il pensiero di Joseph Ratzinger tra materialità e contemporaneità

Materialità e contemporaneità. Materia e presente. Sono queste le due parole che si sono imposte prepotentemente nella memoria alla fine della lettura di I sacramenti. Segni di Dio nel mondo di Joseph Ratzinger/Benedetto XVI, raccolta di omelie edite e inedite a cura di Elio Guerriero che Cantagalli ha da poco portato in libreria. Nella premessa Guerriero sintetizza la posizione del teologo/Papa che ha costantemente lavorato per la “collaborazione tra ragione e fede”, per “l’equilibrato rapporto tra natura e grazia”. Lo fa scrivendo di “intreccio tra realtà mondana e soprannaturale”.

  

Nella prima omelia Ratzinger dice esplicitamente: “Questa è ultimamente la Chiesa: l’ingresso, l’arrivo di Dio presso di noi, l’immersione nell’argilla di questa terra”. Materiale sull’orlo del materialismo. Impossibile per me qui non citare i due grandi compagni della mia vita: Luigi Giussani e Gilbert K. Chesterton. Il primo scrisse di suo pugno su un manifesto appeso in Università Cattolica a inizio anni Ottanta il seguente commento: “[…] ogni giorno della nostra vita è concepito come un’offerta a Dio, perché la Chiesa esista dentro i nostri corpi e le nostre anime attraverso la materialità della nostra esistenza”. Citai quella frase a un cardinale che don Giussani, ricambiato, stimava molto, ridendo esclamò: “Il solito materialista!”. Il secondo, Chesterton, amava dire che la vera novità del cristianesimo non era lo spirito, ma la carne. Lo spirito c’era anche prima. Per sovrapprezzo e gusto del paradosso aggiungeva che “l’opera del cielo è stata soltanto materiale: la creazione di un mondo materiale. L’opera del diavolo è soltanto spirituale”.

 

Come e perché questa materialità trasudi nel fenomeno del “segno” e in quei segni particolari che sono i sacramenti, primo di tutti quello della vita della Chiesa, non ha senso che io tenti di spiegarlo qui impoverendo le parole e il pensiero del Papa emerito, lo capirete, o potrete comunque misuravi con questa ipotesi che si pone con autorevolezza, leggendo le pagine di questo libro.

 

Preparatevi a dover allargare la mente, ad abbandonare pregiudizi (liberi poi di riabbracciarli) e pigrizie di pensiero. Ratzinger avverte sin dalle prime pagine: “La nostra concezione dei sacramenti è diventata molto modesta […] noi abbiamo ritagliato il senso dei sacramenti rapportandolo al contesto di vita da noi comprensibile”, addirittura, con il sostegno immancabile di qualche teologo li abbiamo degradati “ad una sorta di previo e ingenuo stadio di burocrazia”.

 

Mentre, dice in sintesi Ratzinger – volgarizzo cosciente di farlo – i sacramenti sono la sola possibilità di vivere una vita pienamente umana, all’altezza della nostra dignità. E per vivere veramente bisogna risorgere. “La liturgia non vuole sottrarsi al reale, bensì guadagnare in realtà”, realizza in qualche modo il sogno di ogni uomo di viaggiare non solo nello spazio ma “anche attraverso le diverse epoche”. “Qualcosa del genere accade nel mistero della liturgia. E questo può accadere perché la resurrezione di Gesù non è passata, bensì con la resurrezione egli è passato dal transitorio a quanto è stabile”.

 

Ciò che permane è per sua natura contemporaneo. E quindi incontrabile. Questo incontro, insiste Ratzinger, avviene nella vita della Chiesa e nei suoi sacramenti. Valga per tutti e sette, e per intuire l’esistenzialità non astratta del suo argomentare, quanto Ratzinger dice del battesimo.

 

“Nel momento della sua nascita fisica l’uomo non è nato del tutto, perché egli è un essere fisico e spirituale insieme. […] Il biologo di Basilea, Adolf Portman, ha mostrato in modo molto penetrante con le ricerche biologiche come negli uomini la durata del concepimento e della nascita giunga fin dentro la vita consapevole perché della formazione dell’ego fan parte anche l’andatura eretta, l’udito e la parola. Questi però sono eventi che possono verificarsi solo nella convivenza tra gli uomini. […] Perché un uomo possa essere veramente nato non basta che egli sia presente solo fisicamente. […] Ha bisogno della liberazione e dell’accoglienza e in ambedue ha bisogno del dono previo di un senso che sostiene la sua vita. […] Il senso, tuttavia, gli è dato quando esso è più forte della morte, quando è più vita della mera vita fisica, perché il senso è la vera vita”.

 

Impressionante a questo punto il realismo con cui, citando sant’Agostino, dice: “Sul letto di morte accade a volte che i medici dicano: non se la cava. In realtà già sulla culla di ogni uomo bisognerebbe dire: Non evadet, non ce la fa”, perché è evidente sin dall’inizio che l’uomo è minacciato dalla morte e si avvia verso il nulla. “Ha bisogno del senso. […] Solo allora è veramente nato, quando vi è un senso che possa fronteggiare quel non evadet, non se la cava”. “La resurrezione del Signore, nel battesimo, diventa il nostro senso”.

 

Risorgere – spiega Ratzinger – non è soltanto l’evento atteso alla fine dei tempi, ma è l’esperienza che nella fede ogni uomo può fare come anticipo di quella finale. La resurrezione di Cristo – dice – “rende vera l’affermazione ‘l’amore è più forte della morte’”. Che sia questo il desiderio profondo di ogni uomo, cioè la radice della sua razionalità, lo testimonia pur dal fondo del suo nichilismo cinico anche Michel Houellebecq, il quale, in una lettera pubblica a Bernard-Henri Lévy, scrive “Mi riesce penoso ammettere che ho provato sempre più spesso il desiderio di essere amato. Un minimo di riflessione mi convinceva naturalmente ogni volta dell’assurdità di tale sogno: la vita è limitata e il perdono impossibile. Ma la riflessione non poteva farci niente, il desiderio persisteva e devo confessare che persiste tuttora”.

 

“Ho bisogno di un cuore che bruci di tenerezza, che mi sia di sostegno senza tornare indietro, che tutto ami in me, anche la mia debolezza, che non mi abbandoni né di giorno né di notte. Non ho potuto trovare creatura alcuna che mi amasse senza morirne. Ho bisogno di un Dio che prenda la mia natura, che diventi mio fratello e possa soffrire”.

 

Houellebecq combatte la sua lotta tra desiderio e riflessione dall’eremo del suo auto esilio irlandese, Teresa di Lisieux, autrice della seconda missiva, la viveva in un Carmelo francese. Ma è la stessa battaglia, lo stesso pellegrinaggio. Come dice Ratzinger quando parla della confessione, è il desiderio di “ritornare a casa” che accomuna il figliol prodigo dissoluto e il fratello, che dalla casa non si era mai allontanato, invidioso per la festa in suo onore, anche lui ha bisogno di “capire di nuovo che cos’è la vita”.

 

Ma chi l’ha detto che Ratzinger non ama il dialogo e demonizza il dubbio?

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