Il presidente russo Vladimir Putin in visita dal Papa a San Pietro (foto LaPresse)

L'alleanza di ferro tra il Papa e Putin resiste alle bordate sovraniste

Matteo Matzuzzi

Tra Francesco e lo zar russo l’intesa non è solo sui dossier internazionali, ma anche a livello personale. Le tre udienze

Roma. Il comunicato diffuso al termine della lunga udienza concessa dal Papa a Vladimir Putin (circa un’ora) è scarno: nei consueti “cordiali colloqui” si è espressa soddisfazione per “lo sviluppo delle relazioni bilaterali” e si è discusso di alcune tematiche dell’attualità internazionale “con particolare riferimento alla Siria, all’Ucraina e al Venezuela”. L’ordine, si suppone, non è casuale. Hanno fatto parte della conversazione anche “la questione ecologica” e “alcune questioni di rilievo per la vita della chiesa cattolica in Russia”. Un resoconto sintetico che stride con il commento a caldo del leader del Cremlino – “dal Papa parole sostanziose” – e con l’eccezionalità di quanto accaduto: un capo di stato – e di che stato – che si reca dal Papa tre volte in sei anni. “La Santa Sede è un partner molto speciale per la Russia, l’ha detto anche l’ambasciatore di Mosca in Vaticano”, dice al Foglio don Stefano Caprio, docente di Cultura russa al Pontificio istituto orientale di Roma e profondo conoscitore della terra di Putin. Tra Francesco e il presidente russo c’è un’intesa particolare, “favorita dal fatto che i due hanno una visione comune sulla globalizzazione, che non vogliono sia guidata dagli Stati Uniti e dall’Europa”. Da qui la constatazione che oggi più che a Washington la Santa Sede guarda con favore a Mosca, e non solo per lo sviluppo dei rapporti “mai così buoni” – sono parole di don Caprio – con il Patriarcato di Mosca. E’ questione di mera politica, di visione del mondo. “Non c’erano motivi urgenti per questa udienza, i temi di attualità internazionale sul tavolo sono gli stessi da anni, come ha confermato il comunicato vaticano”. 

 

Il punto, semmai, è che “Putin, padre dei sovranismi mondiali, cercava la benedizione del Papa, un appoggio alla sua linea”. C’è un’analogia storica, dice don Stefano Caprio: “Mi ricorda quando nel 1845 lo zar Nicola I giunse a Roma e implorò Papa Gregorio XVI di non cedere sull’autocrazia”. La sintonia tra Francesco e Putin non ha a che fare solo con i dossier di geopolitica – “il Pontefice bloccò i raid sulla Siria e favorì poi il locale protettorato russo, non ha condannato l’aggressione di Mosca in Ucraina e ha appoggiato la linea della mediazione in Venezuela, per cui direi che il modo di vedere le cose sul fronte internazionale è pressoché lo stesso” – ma è anche questione di personalità. Sull’attenzione di Jorge Mario Bergoglio al pueblo – da qui la celebre teologia del pueblo d’ispirazione argentina più ancora che sudamericana – si è scritto di tutto in questi sei anni di pontificato, ma secondo don Caprio “è anche lui stesso d’ispirazione al populismo e il populismo l’hanno inventato i russi: Tolstoj era un nobile ma amava andare in campagna dai lavoratori, mischiarsi a loro. Putin è un po’ la stessa cosa, uno zar che sta con il popolo. E il Papa al popolo si appella sempre, basti considerare le accuse al clericalismo, al potere da estirpare”.

 

Risulta però difficile collocare il Papa che predica contro i muri nella stessa categoria dei populisti e sovranisti così à la page, anche se ad esempio “sulla globalizzazione non la pensano in modo troppo diverso”. Per uscire dall’equivoco è utile pensare più ai sovranismi globali che a quelli europei, uscire cioè dal solito recinto che va dall’Atlantico agli Urali. Giocano a favore dell’intesa anche gli ottimi rapporti tra la Santa Sede e il Patriarcato di Mosca. “La collaborazione è intensa in ogni campo, da quello umanitario a quello culturale e c’è anche una visione comune sulla vita della chiesa. Ricordiamoci – dice don Caprio – che dopo l’ultimo incontro tra i due c’è stato il storico abbraccio tra Kirill e Francesco all’Avana. Paradossalmente, oggi Mosca percepisce Roma più vicina rispetto a tante altre chiese della galassia ortodossa, anche perché si sente universale, come la chiesa cattolica”. E, fatto non irrilevante, Roma ha evitato di intervenire nella dilaniante questione della chiesa autocefala di Kiev che ha scavato il solco tra Mosca e Costantinopoli, tra Kirill e Bartolomeo I, col quale pure i legami di Francesco sono eccellenti.

 

Contraddizioni e punti in comune

Usare gli schemi consueti per interpretare il filo – irrobustito negli ultimi anni – che lega la prima con la terza Roma è però errato, perché superficiale. E’ una questione innanzitutto di cultura, stratificata nel corso dei secoli. Ha scritto sulla Civiltà cattolica il gesuita Vladimir Pachkov che “non avendo integrato il patrimonio di idee occidentali, la Russia ha vissuto in modo forzato sotto l’influenza dell’occidente, con tutte le conseguenze che ne sono derivate. La politica russa odierna è una reazione a tutto ciò e riflette anche la lacerazione della società russa nel corso della storia”. Dopotutto, ha ricordato Pachkov, “la modernizzazione della Russia non è avvenuta come un processo che ha investito l’intera società, come in occidente, ma in un alternarsi di periodi prolungati di stabilità e di brevi spinte alla modernizzazione che non si sono presentate come sviluppi naturali, evolutivi, ma come rotture radicali e rivoluzionarie”. Da qui la constatazione che “se oggi l’élite russa al governo mette in risalto le differenze con l’occidente, con lo scopo di mantenere il potere, questa rivendicazione del ‘cammino speciale’ della Russia come di una sorta di reazione contraria mostra solo quanto fortemente il paese abbia subìto, e continui a subire, l’influenza culturale dell’occidente”. Un legame chiaro, rafforzato anche dalle difficoltà: “Non si può negare – dice Pachkov – che la Russia abbia molte cose in comune con l’occidente: la crisi della famiglia, la crisi demografica, la crisi dei valori e della religione. Il tentativo dell’élite russa – a differenza di quelle più liberali dell’occidente – di superare tali crisi con il rafforzamento dei valori tradizionali della famiglia, della religione e del patriottismo fa sì che il paese si ponga come una sorta di contrappunto al moderno sistema di valori dell’occidente. E ciò deve essere preso in considerazione, se si vogliono capire le contraddizioni nella Russia stessa e nei suoi rapporti con l’occidente”.

  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.