Roma, turisti in Chiesa a Santa Maria degli Angeli (foto LaPresse)

Il dramma di una chiesa disinteressata alla difesa dell'identità europea

Claudio Cerasa

Una chiesa che mette da parte la funzione profetica è un guaio per il cattolicesimo e l’Europa. Chi trasforma in nemico la globalizzazione trasforma in nemico la cultura liberale. Un libro e un j’accuse

Sergio Belardinelli è un coraggioso professore di Sociologia dei processi culturali e comunicativi all’Università di Bologna e qualche settimana fa ha dato alle stampe con Angelo Panebianco un libro delizioso e ambizioso con il quale ha provato a mettere a fuoco quello che oggi, a prescindere dall’appuntamento elettorale del 26 maggio, è il tema dei temi: le ragioni e le radici dell’assedio all’Europa. Il libro, edito dal Mulino, si chiama “All’alba di un nuovo mondo” e tra i tanti spunti di riflessione offerti dai due prof ve ne è uno cruciale che riguarda un tema che coincide con una domanda spiazzante. La domanda se la pone il nostro amico Belardinelli e suona grosso modo così: “Cosa può succedere all’Europa nel momento in cui la chiesa cattolica sembra interessarsi sempre meno dell’Europa, rivolgendosi invece sempre più ad altri mondi, come l’America latina, l’Africa o l’Asia?”. In una fase storica in cui in realtà la chiesa cattolica, e in particolare l’insieme delle sue conferenze episcopali, ha scelto, partendo dal tema della difesa dei migranti, di prendere posizione in modo deciso contro i sovranismi la domanda potrebbe apparire come mal posta e persino fuori luogo. Ma in verità ciò che viene notato non riguarda la superficie del dibattito pubblico. Riguarda un aspetto più profondo che si lega a un problema difficile da negare. 

  


La cultura dell’Europa, disse Benedetto XVI in un famoso discorso tenuto al Parlamento tedesco, è nata dall’incontro tra Gerusalemme, Atene e Roma, ovvero dall’incontro tra la fede in Dio di Israele, la ragione filosofica dei Greci e il pensiero giuridico di Roma. E anche per questo lo scollamento di queste tradizioni a cui assistiamo nella nostra epoca rappresenta un problema sia per il cristianesimo e la chiesa cattolica, sia per l’Europa


 

La fede cattolica – scrive Belardinelli – conosce in tutta Europa una crisi mai vista prima e questa crisi si combina con una chiara predilezione di Papa Francesco per altri continenti, nel tentativo di rinnovare un magistero che sente forse zavorrato da troppa dottrina e troppo poco attento al senso della carità”. Da un punto di vista strettamente teologico, sostiene Belardinelli, la fuoriuscita della chiesa cattolica dall’Europa potrebbe non avere quel significato negativo che presenta invece sotto il profilo politico-culturale. “La chiesa è per sua natura universale, cattolica, appunto, e la sua missione è di far conoscere il messaggio di Gesù a tutti gli uomini del mondo. Di conseguenza, è del tutto normale che essa si proietti verso tutti i continenti. Desta invece qualche perplessità la cultura che sostiene oggi il suo magistero, una cultura sempre più adattiva, politica, che sembra avvalorare gran parte degli stereotipi che, a mio avviso, sono tra i responsabili della crisi dell’Europa stessa”.

 

Gli elementi di riflessione che meriterebbero di essere messi a fuoco riguardano due critiche sostanziali che Belardinelli formula al magistero di Papa Francesco, che hanno a che fare entrambe con il futuro dell’Europa. La prima critica riguarda la scelta discutibile di questo papato di mettere i diritti sociali sullo stesso piano dei diritti non negoziabili. La seconda critica riguarda invece la scelta altrettanto discutibile di questo papato di aver messo in secondo piano la sua funzione profetica. “Nella denuncia appassionata e sacrosanta dei mali del mondo, primi fra tutti la guerra, la povertà, i disperati che cercano di sfuggirvi, l’inquinamento ambientale, c’è sicuramente la volontà di essere vicini agli ultimi che contraddistingue da sempre il magistero della chiesa e, soprattutto, le sue innumerevoli opere di carità. Ho tuttavia l’impressione che la denuncia delle cause di questi mali che viene oggi dalla chiesa sia troppo umana. È un po’ come se, additando il mercato e il liberismo come i principali responsabili, venisse edulcorata la tremenda, tragica, serietà del male che viene denunciato. Con la conseguenza che lo slancio profetico della denuncia si indebolisce proprio per il fatto di apparire troppo legato alle logiche del mondo, al limite, troppo politico e troppo poco escatologico. Un danno, questo, che si ripercuote sia sulla chiesa sia sulla politica”. E tutto questo, continua Belardinelli, ha un suo riflesso anche nello sguardo che la chiesa rivolge al futuro. “La profezia ci spinge a guardare oltre, a non abbandonarci al torpore della decadenza, a immaginare concrete alternative ai mali che ci affliggono. Ma non è appellandosi ai buoni sentimenti del politicamente corretto che si diventa profeti o si fronteggiano le gravi sfide del tempo presente; meno che mai lo si può fare iscrivendosi al nutrito club di coloro che guardano all’Occidente come alla terra dell’inevitabile tramonto. Tutto ciò è non soltanto irrealistico, ma anche sbagliato. L’Europa ha bisogno soprattutto di profezia e di realismo”.

 

Belardinelli rimprovera in sostanza alla chiesa di Francesco di dare troppo spesso l’impressione di essere vittima di una sorta di incapacità di distinguere tra religione, morale e politica che non gli permette di avere una visione profetica sul futuro, che non gli permette di promuovere un “rumore ambientale” capace di combattere il secolarismo più con la trascendenza e la visione che con una semplice passione civile e che per di più porta spesso la chiesa a individuare come nemici del presente, in nome di una lotta contro le diseguaglianze, gli stessi individuati da coloro che sognano di disgregare l’Europa: il mercato capitalistico, la globalizzazione e in definitiva la cultura liberale. “Per quanto la cosa possa sembrare sorprendente, la società secolare ha urgente bisogno che da qualche parte ci sia qualcuno che parli di Dio con una lingua che non sia troppo mondana, con una lingua che sappia trasmettere la consapevolezza che si sta sfidando l’indicibile. L’Europa ha bisogno di parole che le dicano di una differenza incolmabile, di un’alterità radicale, grazie alla quale i cittadini europei possano immergersi con maggiore consapevolezza in sé stessi e nel mondo che abitano”.

 

La cultura dell’Europa, disse Benedetto XVI il 22 settembre 2011 in un famoso discorso tenuto al Parlamento tedesco, è nata dall’incontro tra Gerusalemme, Atene e Roma, ovvero dall’incontro tra la fede in Dio di Israele, la ragione filosofica dei Greci e il pensiero giuridico di Roma. E anche per questo lo scollamento di queste tradizioni a cui assistiamo nella nostra epoca, come scrive Belardinelli alla fine del suo libricino, rappresenta un problema serio sia per il cristianesimo e la chiesa cattolica, sia per l’Europa. Un’Europa incapace di difendere il cristianesimo, che andrebbe difeso non solo quando c’è una chiesa che brucia, è un’Europa che rinuncia a difendere i valori non negoziabili della sua libertà. Ma una chiesa incapace di difendere l’identità dell’Europa, che andrebbe difesa non solo quando si parla di migranti, è una chiesa che rinuncia a difendere uno spicchio della sua identità. “L’ideale dell’uomo europeo, unico e irripetibile nella sua libertà e dignità, non è un aspetto semplicemente incidentale per la fede cristiana. È piuttosto il tramite che rende efficace l’evangelizzazione, nella sua capacità di produrre forme di vita attraenti e più giuste. Questi aspetti non possono essere considerati un semplice strumento di evangelizzazione. Essi esprimono anche un grande ideale laico che ha trovato le sue forme espressive più eloquenti nei saperi scientifici, nella tecnica, nella cultura e nelle istituzioni politiche delle liberaldemocrazie occidentali”. L’Europa e la religione cristiana hanno entrambe qualcosa di molto importante da perdere dalla loro progressiva estraneazione. E chissà se un Papa non europeo riuscirà prima o poi a dare l’impressione di considerare il modello dell’Europa come valore non negoziabile di un mondo più libero.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.