Il Papa emerito Benedetto XVI (LaPresse)

Ora sul banco degli imputati finisce Benedetto XVI: "Aveva promesso di tacere"

Matteo Matzuzzi

Teologi e storici più papisti del Papa attaccano Joseph Ratzinger per la sua replica a mons. Viganò e tirano in ballo le prefazioni firmate dal Pontefice emerito ai libri dei cardinali Sarah e Müller

Roma. Nella brutta storia della lettera di Benedetto XVI censurata da parte della Segreteria per le comunicazioni ora priva del suo numero uno, si è in qualche modo passati alla fase-2, che vede il Papa emerito in mezzo a un campo di battaglia, strattonato tra i cosiddetti antibergogliani pronti a farne un vessillo da esibire e i cosiddetti ultrà bergogliani, più papisti del Papa che spesso usano Francesco come bandiera per teorizzare rivoluzioni che il più delle volte il vescovo di Roma non ha neppure ipotizzato. Se i primi, in qualche caso, partendo dal caso-Viganò sono arrivati a puntare più in alto, dipingendo scenari catastrofici che vedrebbero un Pontefice regnante furibondo per l’accaduto e indispettito per la replica ratzingeriana (quando è facilmente ipotizzabile che a Francesco degli undici volumetti teologici interessasse ben poco, avendo questioni più urgenti e rilevanti di cui occuparsi), i secondi hanno subito messo sul banco degli imputati Benedetto XVI. Naturalmente per la risposta che ha dato a mons. Viganò in una lettera “riservata e personale”, cioè non destinata alla pubblicazione ma privata. Da leggere e riporre nel cassetto. A farsi portatore della linea che imputa proprio a Ratzinger il pasticcio è il professor Alberto Melloni, storico del Cristianesimo e capofila della Scuola di Bologna, che su Repubblica ricorda come Benedetto XVI un anno fa avesse scritto “una prefazione al libro del cardinale Robert Sarah (peraltro pubblicata dal Foglio), prefetto di curia che si è schierato contro Francesco in materia liturgica” e “poi aveva firmato la prefazione al volume in onore del cardinale Gerhard Ludwig Müller, campione del contrasto a Francesco”.

  

Quindi, il sottile j’accuse: “In quelle pagine – scrive Melloni – c’erano tesi note di Ratzinger: ma esse erano delicate perché volevano dimostrare che Benedetto XVI ha ancora un qualche diritto di governare. Tant’è che un po’ governa dando copertura a coloro a cui si sente vicino”. Insomma, il Papa emerito guiderebbe o quantomeno controllerebbe un moto cospirativo nei confronti del successore, ammiccando ai nemici di Francesco e dando loro protezione. Scrive ancora lo storico: “Sembrava che il Papa emerito desse un voto (buono, per fortuna) al Papa regnante. E poneva l’interrogativo di cosa sarebbe accaduto se il voto fosse stato cattivo”. Poi il problema: “Peter Hünermann, teologo di Tubinga col quale Ratzinger ha ingaggiato dispute che non ha mai dimenticato”. Ricorda ancora Melloni che “trent’anni fa, la risposta della teologia tedesca e dei grandi teologi ecclesiastici come Karl Lehmann e Walter Kasper impedì a Ratzinger unilateralismi pericolosi. Dopo trent’anni Benedetto suggeriva a un prefetto di curia come Viganò che quella teologia o almeno Hünermann, venisse punita col silenzio. Cosa che detta da un teologo è un’opinione; detta dal Papa emerito è un atto di governo. Questione delicatissima, potenzialmente eversiva”.

 

Durissimo è il commento del teologo Andrea Grillo, professore ordinario di Teologia sacramentaria al Pontificio ateneo Sant’Anselmo, che ha lodato Hünermann, ricordando come quest’ultimo “ha continuato a parlare anche quando il magistero voleva dai teologi solo silenzio o applausi. Egli non è stato disposto a fare lo zerbino o il capo-claque e questo è stato il suo merito indiscusso, anche se viene presentato ora quasi come un crimine di lesa maestà. Curioso paradosso: chi ha promesso solennemente di tacere, ha parlato senza prudenza. Chi invece per mestiere e ministero doveva parlare, e ha parlato chiaro, perché mai dovrebbe tacere?”. Prima si era domandato: “Forse che Ratzinger ha un diritto di veto sui teologi che parlano (bene) di Francesco?”.

 

Repliche che dimenticano la questione centrale: è stata la Segreteria per le comunicazioni, nella persona di mons. Dario Edoardo Viganò a inviare a Benedetto XVI una lettera in cui gli si chiedeva di scrivere una “breve e densa pagina teologica” agli undici libri editi dalla LEV sulla teologia di Francesco. Ratzinger non ha preso carta e penna per diffondere urbi et orbi una reprimenda all’iniziativa. A domanda ha risposto con un messaggio – è bene ricordarlo – privato. In cui spiegava di non poter elogiare un testo firmato da uno dei più feroci oppositori del pontificato suo e di Giovanni Paolo II. Cosa avrebbero detto gli accusatori se il teologo professor Joseph Ratzinger avesse letto e stroncato la pubblicazione di Hünermann sulla teologia del Papa regnante? L’errore è stato a monte: in primo luogo chiedere a un Pontefice emerito di recensire il successore. E poi di aver domandato al rigoroso Ratzinger di scrivere una paginetta Word su un firmatario della “Dichiarazione di Colonia” che metteva all’indice il suo ruolo di prefetto della congregazione per la Dottrina della fede.

  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.