Chiese a Praga (foto LaPresse)

La civiltà del vuoto

Matteo Matzuzzi

Le chiese silenziose di Praga senza fedeli, ridotte a musei nel paese più secolarizzato d’Europa Quarant’anni di persecuzione comunista hanno lasciato il segno. Qualcosa, però, sta cambiando

Hanno lo sguardo rivolto verso il nulla, le marmoree statue dei santi e dei vescovi che dall’alto dominano gli altari e le navate delle chiese di Praga. Trasfigurati e immobili, un tempo ammonivano e rassicuravano il popolo fedele di Dio, riaffermando la verità della fede, l’unica possibile via alla salvezza. Oggi guardano banchi vuoti, anonima mobilia lignea intagliata con certosina maestria su cui, il più delle volte, è perfino impossibile sedersi. C’è il cordone rosso posto tutt’attorno, a indicare la trasformazione avvenuta: non più luoghi di culto, ma musei. Oggetti da ammirare ma da non toccare. Stanzoni con soffitti alti ove restare estasiati da pale superbe, come quelle nere e auree di Santa Maria di Týn, che con le sue alte guglie gotiche domina la piazza della città vecchia della capitale ceca, e che una volta che ci sei entrato ti toglie il fiato per quanto sia bella. Se non fosse per il banchetto con i depliant informativi all’ingresso, i santini plastificati con ben impresso il prezzo in corone, le indicazioni sulla collocazione dei bagni e il costante e urticante vociare di stanchi turisti addossati a colonne e a quelli che un tempo erano confessionali. Rumore imperituro che forse disturba pure i santi di pietra lì presenti. Rodney Stark, eminenza laica della sociologia delle religioni, farebbe spallucce: dopotutto, lui ha dimostrato numeri alla mano, che nei secoli addietro (Medioevo in primis) in chiesa c’andava ancora meno gente di oggi, e che tutte le narrazioni sulla spiccata devozione degli uomini d’allora altro non sono che storielle, agiografie. Eppure, qui, che qualcosa sia cambiato lo si avverte. Poco più in là, dietro l’orologio astronomico, c’è la chiesa di San Nicola, adibita a sala per concerti. In passato l’hanno affittata agli ortodossi russi, “ed è stata anche un granaio”, precisa sorniona una guida del luogo che intuisce quel che passa per la testa a chi entrando si fa il segno della croce e si ritrova davanti a una sorta di luogo per conferenze o camera dove ascoltare musica pur sublime. Su al castello, il copione non è diverso entrando nella cattedrale di San Vito, che nulla ha da invidiare alla più rinomata Notre Dame de Paris: il beep dei tornelli in stile aeroporto che suonano ogni tre secondi segnalando l’ingresso dei turisti toglie ogni spazio alla possibilità di cristiano e silenzioso raccoglimento. Turismo, più flash che incenso, più chiacchiericcio di guide turistiche che musica, anche audiotrasmessa.

 

Le statue dei santi
dagli altari guardano
il vuoto dominato
da banchi circondati
da cordoni. Tra depliant promozionali e flash

E’ il senso di una mancanza, quello che si prova attraversando i grandi boulevard in stile parigino che s’alternano agli stretti vicoli medievali di Praga. Grandi chiese con i portoni sbarrati, le vetrate qualche volta offuscate, le campane che non suonano più. Davanti all’imponente chiesa di Santo Stefano, edificio del Trecento, neanche un avviso, un cartello. Chiusa. Eppure, lì vivrebbe (il verbo non è casuale) una parrocchia. La Repubblica ceca è il paese più ateo d’Europa, lo dicono i numeri e le fredde statistiche. Nel cuore del continente, nonostante cattedrali e cappelle, c’è un vuoto.

La diocesi di Praga conta due milioni di abitanti. I battezzati sono poco più di 370 mila. “Per come la vedo io, nella Repubblica ceca c’è in generale una diffusa diffidenza più verso la religiosità ufficiale e istituzionale che non verso la fede in sé, e per questo definirei il nostro, più che come il paese più ateo, come il paese più secolarizzato d’Europa”, dice al Foglio il professor Jaroslav Sebek, storico contemporaneo dell’Accademia delle scienze ceca. “Tuttavia, la maggioranza dei cechi è del tutto indifferente rispetto alle questioni spirituali”. Le radici di questa situazione, come sempre, affondano in secoli di travaglio, di lacerazioni, di tensioni sfociate in drammi e tragedie. “La concorrenza tra confessioni diverse che risale fino alla prima età moderna e la ricattolicizzazione seguita alla battaglia della Montagna Bianca del 1620 che segnò la sconfitta militare e politica dei ceti protestanti portarono la chiesa cattolica in una posizione di egemonia. Ma quando, più tardi, iniziò il percorso di liberazione nazionale, essa cominciò a essere vista da una parte del popolo come un elemento straniero e nemico del progresso, il che portò all’estraniazione di una gran parte della società ceca rispetto al cattolicesimo. A livello pubblico, dice Sebek, dominò per decenni l’idea che ci fosse una radicale inconciliabilità tra il cattolicesimo e il popolo ceco e questa rappresentazione stereotipata ha contribuito, dopo la caduta della monarchia asburgica e la creazione dello stato cecoslovacco nel 1918, a rendere assai problematica la posizione della chiesa cattolica”. Ma c’è dell’altro, perché decisivo è stato “tanto l’anticattolicesimo tradizionalmente proprio delle élite politiche e culturali, di orientamento sia nazional-liberale sia socialista, quanto anche la più generale crisi morale e dei valori apertasi dopo la Prima guerra mondiale”.

 

L'esilio di Josef Beran,
il cardinale che s'oppose al regime e che
non poté più tornare
in patria. La riscoperta di Jan Hus

Però è anche vero che già prima del conflitto la chiesa cattolica aveva perso influenza presso molti strati della società, in particolare tra i lavoratori, il ceto medio e i milieu intellettuali, “e non fu in grado di dare una risposta convincente ai processi di modernizzazione, industrializzazione e urbanizzazione in atto nelle terre boeme”. Il Novecento, secolo breve, ha poi definito il corso della storia. La sistematica oppressione da parte delle strutture statali tra il 1948 e il 1989, il regime comunista onnipresente, è qui riuscito nel suo intento: cancellare per quanto possibile ogni riferimento religioso. “Dopo l’89, la chiesa cattolica entrò a far parte della nuova costellazione politica godendo di un grande credito morale. Questa valutazione positiva le veniva dal ruolo avuto nel periodo del regime, durante il quale essa aveva offerto un’alternativa chiara e comprensibile all’ideologia marxista imperante. C’erano – dice Sebek – molte aspettative, che però poterono essere realizzate solo in parte. La chiesa era stata troppo decimata negli anni dell’oppressione per poter assumere un ruolo-guida tra le forze che impressero una trasformazione alla società”.

 

Decimazione, appunto. Sebek lo sa bene, è suo il saggio sulla persecuzione in Cecoslovacchia che appare nel monumentale Testimoni della fede, di Jan Mikrut, edito in Italia da Gabrielli. Preti incarcerati, seminaristi fatti sparire. L’arcivescovo di Praga, Josef Beran, che accettò l’esilio pur di salvare quel restava della chiesa nel suo paese, consapevole che mai più avrebbe fatto ritorno in patria. I risultati della pulizia ideologica si vedono oggi. E fanno riflettere, soprattutto se si considera quanto di ben diverso accaduto a poche centinaia di chilometri, dalla Polonia alla stessa Slovacchia, dove il cattolicesimo è vivo nonostante decenni di oppressione. Il rapporto della società con la chiesa cattolica è senza dubbio uno degli aspetti che separa la Repubblica ceca dagli altri paesi post-comunisti dell’Europa centrale”, osserva il nostro interlocutore. “E ciò dipende dal fatto che in questi altri paesi il cattolicesimo è stato una salda componente dell’identità nazionale. In Polonia, ad esempio, la chiesa ha giocato un ruolo importante nel tenere viva la coscienza nazionale dei polacchi nel periodo in cui uno stato sovrano polacco non c’era più. In Boemia, al contrario, il rafforzamento dell’identità nazionale ebbe luogo senza un significativo apporto cattolico. Nel corso dell’Ottocento – aggiunge – nel contesto del movimento di liberazione nazionale ceco, tornarono in primo piano come simboli della lotta nazionale i rappresentanti del cristianesimo riformato, e con loro tendenze anti cattoliche. In particolare fu riscoperta la personalità di Jan Hus, il riformatore medievale che a causa delle sue critiche alla situazione interna della chiesa fu chiamato a difendere la sua dottrina davanti al Concilio di Costanza, finendo condannato al rogo come eretico il 6 luglio 1415”.

 

Fu impossibile
per la chiesa ceca riprendersi un ruolo centrale nella società: era stata decimata
da decenni
di oppressione

Ecco, Hus, uomo in onore del quale ancora oggi il paese si ferma, dedicandogli una festa nazionale. “Hus è percepito come una complessa figura mitica, fatta anche di interpretazioni ideologicamente condizionate”, dice Jaroslav Sebek: “La pubblicistica e la storiografia cattolica si trovarono sulla difensiva e non furono in grado di reagire adeguatamente al risorgente interesse per la figura di Hus e per le tradizioni della Riforma”. La differenza con la Polonia, poi, l’ha fatta la lotta contro il comunismo ateo: a Varsavia la chiesa ebbe un ruolo centrale, “giocò un ruolo del tutto peculiare anche il fatto che a San Pietro c’era un polacco, Giovanni Paolo II”. Qualche conseguenza si ebbe anche a Praga, perché l’elezione di Karol Wojtyla “spinse l’allora arcivescovo Frantisek Tomásek a farsi avanti con maggiore sicurezza. Tomásek era un uomo saldamente radicato nel conservatorismo e nella devozione per la sua Moravia, in uno spirito cioè relativamente vicino a quello polacco, e divenne un’autorità morale generalmente riconosciuta e un’icona leggendaria della resistenza anticomunista, non solo negli ambienti cattolici”, sottolinea il docente dell’Accademia delle scienze ceca.

 

Sebek ci tiene a ricordare che negli anni Ottanta fu possibile, pur tra mille sforzi, riportare gradualmente in vita diverse forme di spiritualità e di devozione. Tra queste, quella al Bambino Gesù, statuetta lignea ricoperta di cera conservata in una teca nella chiesa di Santa Maria della Vittoria, a Malá Strana. Venerata dai Papi (l’ultimo è stato Benedetto XVI nel 2009), è considerata miracolosa e la sua devozione è stata importata dai carmelitani anche in Italia, ad Arenzano. “Un impatto forte anche sulla vita sociale e politica ebbero in quegli anni alcuni grandi pellegrinaggi religiosi in luoghi strettamente legati alle tradizioni spirituali della nazione e al culto mariano, come Velehrad in Boemia”, spiega Sebek.

 

Si è tornati a parlare
di radici cristiane,
si vedono giovani
in metropolitana che leggono Kafka esibendo una croce al collo

Ecco che allora spuntano i germogli di una rinascita, fragile e lenta, una primavera che si intravede. Ancora una volta, come nella Francia che ha fatto della laïcité un novello totalitarismo, sono le nuove generazioni, i giovani che in metropolitana leggono Il Processo di Kafka esibendo una croce al collo. “Vedo oggi segnali molto positivi”, dice Sebek, “ad esempio nell’ambito della pastorale dei giovani. Penso all’incontro della gioventù cristiana tenutosi nella seconda metà di agosto a Olmütz sotto il titolo Non abbiate paura, un’esortazione che suona oggi in realtà molto attuale per tutta la chiesa, non solo per la Repubblica ceca. La situazione attuale della società pone una grande sfida. La crisi dei rifugiati e quelle a essa legate, della cultura e dei valori non significano solo rischi crescenti per l’economia e la sicurezza, ma aprono anche il tema della difesa dei valori cristiani, e questo in modo particolare proprio nell’est post comunista. Anche in un paese così fortemente secolarizzato come il nostro si è tornati a parlare di radici cristiane, e dato che la fede qui si è affievolita, dietro l’idea di una difesa del cristianesimo è più probabile trovare un’ideologia motivata dalla paura dell’influenza dell’islam e di altre culture”. Il professore porta qualche esempio e ricorda che “negli ambienti cattolici locali è tipico sentir dire, rispetto alla questione dei rifugiati, che bisogna trovare un bilanciamento tra la solidarietà e le preoccupazioni, apertamente espresse, per i mutamenti culturali”. A monte, un problema più generale, la grande e progressiva frammentazione della società nelle cosiddette filter bubbles. “Gli uomini di oggi si raggruppano virtualmente in piccole comunità che condividono la stessa visione del mondo, non parlano con gli altri gruppi e vivono, possiamo dire, in veri e propri mondi paralleli. La chiesa cattolica ha un’importante occasione per rientrare nello spazio pubblico, in modo da contribuire al riappacificamento della situazione sociale e alla ricerca dell’interesse comune”.

Intanto, sulla città dei vuoti domina silenzioso il monastero di Strahov, con la sua biblioteca unica al mondo che riunisce il sapere del mondo. Talmente preziosa che la si può scorgere solo da una porticina, visto che l’ingresso è vietato quasi a tutti. A imperituro memento di quel che è stato e che non è definitivamente scomparso.

  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.