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Perché il Papa, anche volendo, non può concedere lo ius soli in Vaticano

Carlo Lottieri

E' necessario riconoscere che il Vaticano non si concepisce quale entità destinata a garantire pensioni, salute e istruzione. Non esiste una nazione vaticana 

Nelle recenti polemiche sullo ius soli, alimentate anche da alcune (incaute) dichiarazioni di Papa Francesco, da più parti si è sottolineato che lo Stato della Città del Vaticano non prevede lo ius soli. Se quindi l’attuale Pontefice è tanto schierato a sostegno di questa modalità di acquisizione della cittadinanza, secondo i suoi critici dovrebbe cominciare a casa propria. Questi argomenti non si limitano a sostenere che chi è favorevole all’accoglienza dovrebbe dare il buon esempio. Una cosa, infatti, è dire che il Papa – in considerazione di quanto dice – avrebbe il dovere di ospitare iracheni e libici nei suoi palazzi, e altra cosa invece è immaginare che il Vaticano possa essere esaminato sulla base dei suoi criteri di naturalizzazione, quale fosse uno stato.

  

Nato nel 1929 a seguito di una sorta di secessione dall’Italia, lo stato della Città del Vaticano è una realtà del tutto sui generis. Anche se fin dal nome ha cercato di presentarsi come uno stato (e sono poche le realtà che hanno tale termine nella denominazione ufficiale), ha fatto ciò essenzialmente per essere accettato entro un consesso internazionale dominato dalla tesi che solo gli stati possono avere uno statuto diplomatico: come fu evidente nei difficili decenni che separarono la debellatio del 1870 e la firma dei Patti lateranensi.

  

A dispetto delle apparenze, in effetti, il Vaticano non ha nessuno dei tratti che contraddistinguono lo stato moderno. Certamente il Vaticano ha un territorio (benché molto piccolo: solo 44 ettari) e anche una popolazione (pure essa assai esigua, poiché non raggiunge le mille unità). Esso non è però assolutamente sovrano, dal momento che sarebbe assurdo – entro le categorie cristiane – immaginare che un’istituzione politica possa collocarsi sopra tutto e tutti. Privo di sovranità, poiché al contrario si pone al servizio della chiesa e della sua indipendenza (ciò che permette al Papa di non essere cittadino italiano, o francese, ecc.), il Vaticano è una minuscola realtà che giustifica la sua esistenza operando in funzione di una comunità composta da centinaia di milioni di fedeli diffusi nel mondo.

  

Riflettere su ius soli e cittadinanza vaticana, allora non ha alcun senso.

Il fatto che il cosiddetto stato della Città del Vaticano non sia una realtà sovrana si evidenzia in molti modi. In particolare, se si considera che lo stato moderno è innanzi tutto una macchina volta a tassare e normare, è interessante rilevare che tutti i 44 ettari del territorio vaticano sono di proprietà della chiesa e che quindi chi regola e chi è regolato, nei fatti, è lo stesso oggetto. E senza “potere eminente”, non c’è statualità. Per giunta, è vero che nel corso della sua lunga evoluzione e all’indomani della crisi dell’ordine policentrico medievale lo stato si è definito in vari modi: enfatizzando ora questo e ora quell’elemento. Ma lo stato della Città del Vaticano non ha mai corrisposto a nessuna delle funzioni che la statualità si è variamente autoattribuita.

  

Ai suoi esordi, lo stato è stato soprattutto garanzia di ordine e pace, ma il Vaticano ha sempre demandato ad altri (all’Italia, in particolare) ogni protezione del territorio. Poi lo stato è stato al servizio di un progetto “nazionale”, quale strumento per la costruzione di una mistica patriottica; non esiste però una nazione vaticana e ancor meno un patriottismo associatole. E se in seguito lo stato si è giustificato quale garanzia di benessere, anche di fronte a questa versione welfaristica è necessario riconoscere che il Vaticano non si concepisce quale entità destinata a garantire pensioni, salute e istruzione alle poche centinaia di persone che si collocano al di là del Tevere. Guardiamo al Vaticano per quello che è e critichiamolo, quando è necessario. Ma, per favore, smettiamo di considerarlo uno stato.

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