L'udienza alla Comunità Accademica del Pontificio "Istituto Giovanni Paolo II" (foto LaPresse)

Rivoluzione sì, ma intanto Francesco condanna le ideologie anti famiglia

Matteo Matzuzzi
Il Papa inaugura il nuovo corso dell’Istituto Giovanni Paolo II

Roma. “Teologia e pastorale vanno insieme. Una dottrina teologica che non si lascia orientare e plasmare dalla finalità evangelizzatrice e dalla cura pastorale della chiesa è altrettanto impensabile di una pastorale della chiesa che non sappia fare tesoro della rivelazione e della sua tradizione in vista di una migliore intelligenza e trasmissione della fede”. Papa Francesco lo dice in conclusione del suo discorso davanti alla comunità accademica del Pontificio istituto “Giovanni Paolo II” per studi su matrimonio e famiglia, l’organismo fondato da Karol Wojtyla all’inizio degli anni Ottanta (primo preside fu Carlo Caffarra) che in più di trent’anni ha corroborato la dottrina giovanpaolina riguardo la morale famigliare. Nell’ultimo biennio sinodale era stato proprio questo istituto (con le sue diverse diramazioni nei vari continenti) a incarnare l’ala più resistente davanti alle teorie kasperiane sui bagni di misericordia tout court e sulla riammissione dei divorziati risposati alla comunione (nessun particolare incaponimento, visto che era stato Giovanni Paolo II a respingere al mittente – cioè a Walter Kasper, Karl Lehmann e Oskar Saier – la richiesta di aprire al riaccostamento sacramentale di chi era andato incontro a un fallimento matrimoniale).

 

Aveva poi fatto notizia che nessuno dei membri dell’Istituto fosse stato invitato al Sinodo, salvo l’incarico di consultore della Segreteria generale affidato al vicepreside José Granados. La scorsa estate, poi, il Pontefice aveva provveduto a cambiarne i vertici: il teologo Pierangelo Sequeri, già preside della Facoltà teologica dell’Italia settentrionale, veniva posto alla guida dell’istituto, mentre mons. Vincenzo Paglia diventava Gran cancelliere. Tutti elementi che avevano indotto a guardare con attenzione l’intervento papale di ieri, anche perché a tenere la prolusione sarebbe dovuto essere il cardinale Sarah. Il discorso di Bergoglio è stato breve, diviso per punti alla maniera dei gesuiti, come ebbe a dire a suo tempo. La bussola che dovrà orientare i futuri programmi del “Giovanni Paolo II” è l’esortazione Amoris laetitia, che “sollecita l’intero popolo di Dio a rendere più visibile ed efficace la dimensione famigliare della chiesa”. Chiede di ampliare i propri orizzonti, il Papa, anche perché “è giusto riconoscere che a volte abbiamo presentato un ideale teologico del matrimonio troppo astratto, quasi artificiosamente costruito, lontano dalla situazione concreta e dalle effettive possibilità delle famiglie così come sono”. Una “idealizzazione eccessiva, soprattutto quando non abbiamo risvegliato la fiducia nella grazia, non ha fatto sì che il matrimonio sia più desiderabile e attraente, ma tutto il contrario”. Francesco ha insistito sul fatto che “il tema pastorale odierno non è soltanto quello della lontananza di molti dall’ideale e dalla pratica della verità cristiana del matrimonio e della famiglia; più decisivo ancora diventa il tema della vicinanza della chiesa: vicinanza alle nuove generazioni di sposi, perché la benedizione del loro legame li convinca sempre più e li accompagni, e vicinanza alle situazioni di debolezza umana”.

 

Il punto di partenza, però, deve essere la salvaguardia della differenza sessuale e della famiglia come “grembo insostituibile della iniziazione all’alleanza creaturale dell’uomo e della donna”. Nella congiuntura attuale, ha osservato il Papa, “i legami coniugali e famigliari sono in molti modi messi alla prova. L’affermarsi di una cultura che esalta l’individualismo narcisista, una concezione della libertà sganciata dalla responsabilità per l’altro, la crescita dell’indifferenza verso il bene comune, l’imporsi di ideologie che aggrediscono direttamente il progetto famigliare, come pure la crescita della povertà che minaccia il futuro di tante famiglie, sono altrettante ragioni di crisi per la famiglia contemporanea”. Fondamentale è il riconoscimento della dignità dell’uomo e della donna: “Come possiamo conoscere a fondo l’umanità concreta di cui siamo fatti senza apprenderla attraverso questa differenza?”. “E’ impossibile negare l’apporto della cultura moderna alla riscoperta della dignità della differenza sessuale. Per questo – ha sottolineato – è anche molto sconcertante constatare che ora questa cultura appaia come bloccata da una tendenza a cancellare la differenza invece che a risolvere i problemi che la mortificano”.

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.