Papa Francesco ad Assisi per il 30° Anniversario Incontro per la pace tra i popoli (foto laPresse)

Oh santa pace!

Matteo Matzuzzi
Il Papa ad Assisi dice che la guerra è peggio del terrorismo. Parolin invoca soluzioni politiche alla crisi.

Roma. Il filo conduttore della giornata di preghiera per la pace ad Assisi (senza Dalai Lama ma con il Molto venerabile capo supremo del Tendai giapponese, ché la diplomazia oggi sconsiglia passi falsi con i suscettibili governanti di Pechino) è tutto nell’omelia della messa mattutina pronunciata a Santa Marta: “Uomini e donne di tutte le religioni ci recheremo ad Assisi. Non per fare uno spettacolo: semplicemente per pregare e pregare per la pace”. Concetto che il Papa avrebbe ribadito alla fine della giornata: “Non abbiamo pregato gli uni contro gli altri, come talvolta è purtroppo accaduto nella storia. Senza sincretismi e senza relativismi, abbiamo invece pregato gli uni accanto agli altri, gli uni per gli altri”. “Noi – ha detto Francesco – non abbiamo armi. Crediamo però nella forza mite e umile della preghiera”. L’appello è a combattere “la grande malattia del nostro tempo”, che poi è “l’indifferenza. E’ un virus che paralizza, rende inerti e insensibili, un morbo che intacca il centro stesso della religiosità, ingenerando un nuovo tristissimo paganesimo: il paganesimo dell’indifferenza”.

 

Poco prima, terminata la preghiera personale dei partecipanti al trentennale della prima Giornata per la pace voluta da Giovanni Paolo II nel 1986 e la lettura dei messaggi per la pace, il Pontefice aveva evocato “la voce dei sofferenti, il grido nascosto dei piccoli innocenti cui è preclusa la luce di questo mondo, l’accorata supplica dei poveri e dei più bisognosi di pace”. Da qui la domanda: “Chi li ascolta? Chi si preoccupa di rispondere loro? Essi incontrano troppe volte il silenzio assordante dell’indifferenza, l’egoismo di chi è infastidito, la freddezza di chi spegne il loro grido di aiuto con la facilità con cui cambia un canale in televisione”. Ben più netto era stato all’alba di Santa Marta, quando a braccio aveva ribadito che “la guerra è una vergogna” e che “non esiste un dio di guerra” perché “quello che fa la guerra è il maligno, è il diavolo, che vuole uccidere tutti”.

 

Ed è qui, poco dopo, che il Papa ha distinto tra guerra e terrorismo: “Ci spaventiamo per qualche atto di terrorismo ma questo non ha niente a che fare con quello che succede in quei paesi, in quelle terre dove giorno e notte le bombe cadono e cadono e uccidono bambini, anziani, uomini, donne”. “Mentre noi oggi preghiamo – ha aggiunto – sarebbe bello che ognuno di noi senta vergogna. Vergogna di questo: che gli umani, i nostri fratelli, siano capaci di fare questo. Oggi giornata di preghiera, di penitenza, di pianto per la pace; giornata per sentire il grido del povero. Questo grido che ci apre il cuore alla misericordia, all’amore e ci salva dall’egoismo”.

 

Poche ore prima, a New York, il cardinale segretario di stato, Pietro Parolin, intervenendo al summit per i rifugiati e i migranti che s’è svolto presso il quartier generale delle Nazioni Unite, ha sottolineato che “la sfida maggiore per noi è di identificare e di agire sulle cause che costringono milioni di persone a lasciare le loro case, i loro mezzi di sussistenza, le loro famiglie e i loro paesi, rischiando la loro stessa vita e quella dei loro cari nella ricerca di sicurezza, pace e una vita migliore in terre straniere”. Una situazione aggravata dalla “persecuzione religiosa. Benché altri gruppi siano pesantemente presi di mira”, ha aggiunto Parolin, “molti rapporti confermano che i cristiani sono di gran lunga il gruppo religioso più perseguitato”. E’, ha osservato il segretario di stato citando i dossier, una “pulizia etnico-religiosa che Papa Francesco definisce una forma di genocidio”. (mat.mat)

 

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.