Papa Francesco in visita nell'isola greca di Lesbo (foto LaPresse)

Sui migranti, il generale Jean ha ragione: il Papa è un nemico. Ma almeno lui ragiona

Maurizio Crippa
Il militare e il Pontefice: sui migranti, punti di vista opposti ma realisti. Si dovrebbero ammettere che la difficoltà a gestire le coscienze è quasi superiore a quella di gestire i barconi. E che Francesco, con il suo messaggio schierato dalla parte dei profughi e fatto di gesti inconfutabili è un suo (nostro) nemico.

Le medaglie sul petto del generale Carlo Jean, medaglie militari e titoli accademici, non serve contarle. E’ un analista lucido ed esperto, quando serve icastico. Intervistato ieri da Libero, ha espresso opinioni non retoriche, non politiciste, a proposito di profughi e della loro gestione in chiave di sostenibilità e sicurezza. A un certo punto gli hanno chiesto quale sia la priorità per l’Italia e l’Europa. E lui: “La priorità è creare una barriera libica, selezionare e respingere i migranti economici. Detto in termini più brutali”, ha proseguito con quella che lui stesso ha voluto circoscrivere come una “provocazione”, e per tale va presa, “sia chiaro si tratta di una provocazione, far morire gli aspiranti migranti nel deserto, dove nessuno li vede, e non nel Mediterraneo: altrimenti il polverone che sia alza, anche a causa di un Papa che si agita un po’ troppo, impedisce di gestire l’emergenza”.

 


Il generale Carlo Jean


 

Ieri, per l’appunto, centinaia di migranti, forse quattrocento, sono spariti dai radar al largo delle coste egiziane. Somali, etiopi ed eritrei: non facilissimo distinguerli per causa migratoria. Ovviamente non c’entra la provocazione del generale Jean, anzi le sue parole hanno l’indubbia capacità di togliere d’intorno gli infingimenti: abbandonata a se stessa la marea incontrollata e incontrollabile dei migranti di varia denominazione non può che morire. E se muore più lontano da noi è dai riflettori, è più pratico affrontare il problema. Perché non è possibile accogliere tutti, perché la retorica umanitarista nelle guerre – e questa è una guerra – intralcia.

 

Ma il passaggio notevole, non capita spesso di sentirlo dire in modo così tranchant, neppure da parte di suoi critici, è quello sull’iperattivismo di Papa Francesco. Il quale, giusto sabato, era volato a Lesbo, nuova toponomastica dell’inferno, per condividere con i profughi il loro dolore: il disegno del sole che piange, il tweet che dice “i profughi non sono numeri, sono persone, sono volti, nomi storie e come tali vanno trattati”, le tre famiglie che s’è portato a Roma. Il circo mediatico-giubilare non attende che questo, per inondare di sorrisi e speranze solitamente a buon mercato. Ma il circo mediatico-giubilare forse non saprebbe rispondere alla critica secca del generale Jean. Perché il tecnico militare ha dalla sua l’evidenza degli eventi, e la consapevolezza del “polverone”. E allora si dovrebbero ammettere due cose su cui ha ragione: che la difficoltà a gestire le coscienze è quasi superiore a quella di gestire i barconi. E che Jorge Bergoglio, con il suo messaggio schierato dalla parte dei profughi e fatto di gesti inconfutabili è un suo (nostro) nemico.

 

Jean ha il coraggio di dirlo, questo Papa così poco occidentale, così attento ai numerosi sud del mondo, così poco spaventato della convivenza tra i diversi, è un nemico dell’attuale visione europea – retorica unionista e retorica antiunionista per lui pari sono – fatta di spavento, tecnica difensiva, mancanza di visione, in un senso o nell’altro. Ma se per le nostre nazioni la tecnica giusta di gestione dell’immane caos alle frontiere sud ed est dell’Europa fosse quella tratteggiata da Jean, Francesco è un intralcio, un predicatore che impedisce di passare a chi fa il suo lavoro.

 

L’altra cosa da considerare è però che nelle parole di Bergoglio nel suo viaggio, e nella dichiarazione congiunta con il Patriarca Bartolomeo, c’è meno spirito da anima bella di quanto ne vedano i media. Nella chiacchierata con la stampa, ha detto: “Non lo so. Io capisco i governi, anche i popoli, che hanno una certa paura. Questo lo capisco e dobbiamo avere una grande responsabilità nell’accoglienza… L’Europa deve urgentemente fare politiche di accoglienza e integrazione, di crescita, di lavoro, di riforma dell’economia”. Ha ribadito che per essere davvero solidali bisogna smettere di “inseguire l’emergenza del momento, ma occorre sviluppare politiche di ampio respiro”. Ha detto insomma cose che pertengono alla politica e al realismo, non all’utopismo. Perché poi, c’è questo fatto: che il Papa è schierato, per dir così, dalla parte di quelli che sono tanti: quelli che arrivano, che premono a milioni. L’onda monta dalla “sua” parte del mondo. E i numeri, in guerra, contano. Lui e il generale Jean hanno due punti di vista opposti, ma realisti. Gli stati europei, al momento, no.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"