Papa Francesco (foto LaPresse)

Dopo tre anni, è più chiaro perché questo Papa non piace a troppi

Maurizio Crippa
Sbucò sulla Loggia delle benedizioni, annunciato dal nome Francesco senza numeri, disse “buonasera” e si presentò come vescovo di Roma. Tre anni dopo quel 13 marzo 2013 la direzione del suo pontificato rispecchia quanto si poteva immaginare nell’oscurità piovigginosa di quella sera.

Sbucò sulla Loggia delle benedizioni, annunciato dal nome Francesco senza numeri, disse “buonasera” e si presentò come vescovo di Roma. Tre anni dopo quel 13 marzo 2013 la direzione del suo pontificato rispecchia quanto si poteva immaginare nell’oscurità piovigginosa di quella sera. Ma allo stesso tempo rimane fluida, lontana da possibili bilanci. Invece sono senza dubbio più chiare e consolidate le motivazioni di chi, con intuizione precoce, aveva intuito che “questo Papa piace troppo”, per citare un fortunato titolo del Foglio poi divenuto titolo di un altrettanto fortunato libro (ma è giusto una citazione: non si parla qui delle opinioni di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro, e di Giuliano Ferrara). Un Papa che piace troppo, in termini di teologia negativa, significa: questo Papa non piace proprio. Ecco qualche motivo, con una piccola limitazione del campo: che piaccia a tanti “nemici” della chiesa, da Scalfari a Obama, è totalmente irrilevante.

 

Il primo motivo per cui Jorge Mario Bergoglio non piace a chi – dentro e fuori la chiesa – è affezionato a una concezione del cattolicesimo come una religione idealmente eurocentrica è che Francesco non è un Papa occidentale. Basterebbe guardare il carnet dei suoi viaggi per capirlo. Non soltanto perché è un uomo del secondo mondo che guarda al terzo e al quarto (anche se l’accusa di terzomondismo è troppo piatta per aiutare a capire). Ma soprattutto perché Francesco evita di far coincidere il cattolicesimo con la religione storica di una parte del mondo, e l’interesse della chiesa con quello dell’occidente politico – come pure è stato per molti secoli, e in epoca recente nella prima metà del pontificato di Karol Wojtyla. Di conseguenza non piace la sua geopolitica, che guarda alla Russia e perfino alla Cina come confini da aprire, in un mondo che al contrario si sta molto armando: per il campo occidentale, un atteggiamento che sembra d’intesa col nemico. Non piace, Bergoglio, perché non ritiene che la chiesa sia tutt’uno con lo spazio filosofico e culturale della nostra tradizione – cosa che invece era nelle corde di Joseph Ratzinger. Quando dice che “non esiste un Dio cattolico”, dice quel che pensa: che il cristianesimo non è un fatto riconducibile al cattolicesimo europeo. Dell’occidente non gli interessano le guerre, se non in termini di ospedali da campo da allestire. Tantomeno gli interessano le guerre di religione. Antepone la cura dei migranti a tutto il resto: non è senza significato che i due gesti più autoevidenti dei suoi tre anni siano stati Lampedusa e Ciudad Juarez. Né marxista né peronista, il suo essere antimercatista è un altro motivo che sconcerta chi è abituato a leggere la dottrina cristiana come tutta interna al perimetro liberista.

 

Non piace, Bergoglio, perché non considera il mondo come un campo di battaglia in cui la chiesa sia incaricata delle retroguardie dei valori morali. Quando afferma, nella Laudato si’, che “quando non si percepisce nella realtà stessa l’importanza di un povero, di un embrione umano, di una persona con disabilità – per fare solo alcuni esempi –, difficilmente si sapranno ascoltare le grida della natura stessa”, è chiaro che la morale sessuale (degli altri) e la famiglia monoparentale – che pure difende, tra poco arriverà la sua Esortazione post sinodale sul tema – non sono gli unici parametri di riferimento. Più chiari sono oggi anche alcuni motivi interni che da subito avevano creato allarme. Il primo è che è stato scelto da un partito “non italiano” e non di curia, che per la prima volta sta cedendo davvero il campo. Può essere che la riforma della curia rimanga la grande incompiuta del pontificato, ma è evidente che la considerazione di Bergoglio per le conferenze episcopali locali è un segno che sarà difficile cancellare. Infine, il disprezzo per il formalismo e il tradizionalismo l’ha reso insopportabile a chi vi legge un pericoloso segno della crisi della chiesa.
Per la prima volta da molti secoli il Papa appare come un fratello da un altro pianeta rispetto all’agenda consolidata e (per molti) tradizionale della chiesa cattolica. Come ha scritto Alberto Melloni su Repubblica, in futuro potrebbe anche tornare un “Pio XIII” a rimettere le cose in ordine. Nel frattempo, come si racconta abbia detto Leone X, figlio di Lorenzo il Magnifico, a suo fratello Giuliano quando divenne Papa: “Poiché Dio ci ha dato il Papato, godiamocelo”.

Di più su questi argomenti:
  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"