“Merkel sbaglia tutto sui rifugiati”

Matteo Matzuzzi
I vescovi siriani e iracheni contro il piano d’accoglienza senza quote della Cancelliera: “Così si svuotano le nostre terre”. Dubbi anche dall’episcopato tedesco: “Non possiamo farci carico di tutti”

Roma. Da pragmatica donna della vecchia Germania orientale, non c’è dubbio che Angela Merkel avesse messo nel conto le tensioni interne alla solida famiglia cristianodemocratica tedesca in relazione al piano d’accoglienza – senza quote o filtri – dei profughi in fuga dalle terre martoriate dall’avanzata jihadista presentato la scorsa estate. E, probabilmente, non aveva escluso neppure una crescita delle forze più radicali, come quell’Alternative für Deutschland (AfD) che continua imperterrita a salire nei sondaggi. Più complicata da prevedere, invece, era la bocciatura da parte delle gerarchie ecclesiastiche siriane e irachene del disegno solidaristico varato dalla Cancelliera. “Aprire le porte ai rifugiati è un approccio molto sbagliato”, ha detto il Patriarca di Baghdad, il caldeo Louis Raphaël I Sako. Quel che è peggio, per Merkel, è che il presule ha lanciato il suo j’accuse a Monaco di Baviera, partecipando qualche giorno fa alla presentazione dell’ultimo rapporto approntato dalla sezione locale dell’organizzazione di diritto pontificio “Aiuto alla chiesa che soffre”. “L’Europa e gli Stati Uniti – ha aggiunto Sako – dovrebbero concentrarsi molto di più sulla sicurezza e la stabilizzazione della situazione nella terra da cui scappano i profughi”, in modo da consentire loro di continuare “a vivere con la propria coltura e religione” e non a favorire lo svuotamento di quelle regioni.

 

Mons. Antoine Audo, vescovo caldeo di Aleppo, ha rincarato la dose: “Con tutto il rispetto per la cancelliera Merkel, l’esodo crea enormi problemi”, perché implica la progressiva scomparsa della presenza cristiana nel vicino e medio oriente. I numeri sono lì a testimoniarlo: “Prima del conflitto ad Aleppo c’erano 150 mila cristiani, oggi se va bene si arriva a 50 mila”, osservava il vescovo. Contestano, le chiese autoctone, il fatto che la Germania – e più in generale l’occidente – vengano rappresentate come una sorta di Eden, il Paradiso terrestre: “L’occidente non vede l’importanza storica della nostra presenza qui. Bruxelles – che anziché pensare a Damasco dovrebbe puntare l’attenzione su quel che accade ad Ankara o Riad, sottolineava mons. Audo – incoraggia centinaia di migliaia di persone a sobbarcarsi un pericoloso viaggio verso i suoi confini con la promessa di asilo automatico e di una nuova vita. La conseguenza è stata devastante per chi è rimasto in Siria e in Iraq”.

 

“Essere o non essere, questo è il problema”, chiosa Sako citando Shakespeare, sintetizzando così l’alternativa drammatica che pende sul capo dei cristiani mediorientali. Il Patriarca di Baghdad – partito da una posizione prudente – ritiene che per schiacciare le milizie califfali non vi sia altra soluzione che un intervento bellico, con soldati ben addetrastati ed equipaggiati sul terreno: “Abbiamo bisogno non solo di qualche attacco aereo, ma di forze di terra” e queste dovrebbero essere non solo composte da arabi sunniti, ma anche da occidentali. Truppe chiamate a “restare anche una volta che lo Stato islamico sarà sconfitto”. Serve, infatti, “garantire la sicurezza una volta che gli sfollati saranno tornati nelle loro case”.

 

[**Video_box_2**]A minare il progetto merkeliano del “Wir schaffen das” (ce la possiamo fare), non sono solo le gerarchie episcopali siro-irachene, ma anche quelle domestiche. Benché nell’ultima riunione plenaria dei vescovi tedeschi il cardinale Reinhard Marx abbia ribadito che “la chiesa deve compiere una missione importante per integrare e contribuire al successo della collaborazione con coloro che vengono da noi”, solo qualche settimana fa lo stesso arcivescovo di Monaco e Frisinga, nonché presidente della Conferenza episcopale di Germania, aveva impostato una chiara inversione di rotta rispetto al sostegno – pressoché totale – dato alla Cancelliera sul finire dell’estate: “Non si tratta solo di misericordia, ma anche di ragione. La politica deve sempre concentrarsi sul possibile e ci sono certamente dei limiti. La Germania non può farsi carico di tutti i sofferenti del mondo”, aveva detto Marx, che condivide la posizione dei presuli del vicino oriente quando afferma che “dovremmo ridurre il numero di rifugiati, ma non fermandoli al confine, bensì aiutarli nei loro paesi d’origine”. Un cambiamento di linea netto, se si considera quanto il cardinale arcivescovo di Colonia, Rainer Maria Woelki, aveva detto soltanto un mese e mezzo fa: “In virtù dell’esperienza della Germania sotto il nazismo, quanti sono oppressi per ragioni politiche o soffrono per le conseguenze della guerra e del terrorismo, devono essere in grado di trovare qui protezione e aiuto”.

  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.