Hassan Rohani è stato il primo capo di stato iraniano a essere ricevuto in Vaticano dal 1999 (LaPresse)

Il Vaticano punta sugli ayatollah per stabilizzare il medio oriente

Matteo Matzuzzi
La Santa Sede riconosce “l’importante ruolo” di Teheran nella lotta al terrorismo. Comuni “valori spirituali” – di Matteo Matzuzzi

Roma. La Santa Sede riconosce “l’importante ruolo che l’Iran è chiamato a svolgere, insieme ad altri paesi della regione, per promuovere adeguate soluzioni politiche alle problematiche che affliggono il medio oriente”. E’ quanto sottolinea il comunicato diffuso dalla Sala stampa vaticana al termine dell’udienza concessa dal Papa al presidente iraniano Hassan Rohani, ieri mattina. Quaranta minuti di colloquio a porte chiuse che hanno confermato “i valori spirituali comuni” e il “buono stato” dei rapporti reciproci. Al di là dei convenevoli di rito – “la ringrazio tanto per questa visita e spero nella pace”, ha detto Francesco salutando l’ospite; “le chiedo di pregare per me”, ha risposto Rohani – l’incontro ha rafforzato la linea diplomatica che oltretevere si segue da decenni nei confronti di Teheran. Relazioni (stabilite nel 1954) che neppure la rivoluzione khomeinista del 1979 ha potuto interrompere. Bernardo Cervellera, direttore di AsiaNews, il portale del Pontificio istituto missioni estere, e gran conoscitore delle dinamiche geopolitiche orientali, ha scritto che “l’incontro di Rohani con Papa Francesco ha valore di ‘sdoganamento’ dell’Iran nella comunità internazionale, un po’ sullo stile del ruolo giocato dalla segreteria di stato vaticana nel rapporto fra Cuba e Stati Uniti”. Era dal 1999 che un capo di stato iraniano non metteva piede in Vaticano. L’ultimo (ma già lo scorso febbraio Bergoglio aveva concesso udienza alla vicepresidente Shahindokht Molaverdi) fu Mohammed Khatami, ricevuto da Giovanni Paolo II. L’artefice di quella visita fu Jean-Louis Tauran, all’epoca segretario per i Rapporti con gli stati e oggi cardinale presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso.

 

Lo scorso dicembre, Victor Gaetan ricordava su Foreign Affairs che un momento di svolta si concretizzò nel 1992, quando il clero sciita orfano di Khomeini promosse il primo incontro con la chiesa greco-ortodossa (la cui comunità è la più numerosa tra i cristiani iraniani). In particolare, notava Gaetan, la leadership della Repubblica islamica ammirava la capacità degli ortodossi di preservare i valori e la propria identità dinanzi alla globalizzazione a guida occidentale. Da quel momento iniziò un percorso che ebbe nella stagione di Khatami il punto più alto nelle relazioni diplomatiche tra il Vaticano e il regime di Teheran, con la fondazione del Centro internazionale per il dialogo tra le culture e le civiltà, voluto proprio dall’allora presidente iraniano. Neppure gli otto anni segnati dalle provocazioni di Mahmoud Ahmadinejad, desideroso di cancellare Israele dalla cartina geografica, bloccarono i canali di comunicazione (che comunque si raffreddarono), come testimonia lo scambio epistolare tra il presidente e Benedetto XVI.

 

Con l’avvento dello Stato islamico, la Santa Sede ha lavorato per togliere dall’isolamento internazionale la Repubblica islamica, nella convinzione che solo un Iran al centro dei giochi nell’area avrebbe potuto contribuire ad arrestare l’escalation jihadista e a stabilizzare il vicino e medio oriente. Una visione, questa, che – nonostante le perplessità israeliane, tutt’altro che taciute – veniva confermata dal segretario di stato Parolin in persona, quando (era l’autunno del 2014) disse che “il coinvolgimento dell’Iran e il miglioramento delle sue relazioni con la comunità internazionale contribuiranno a favorire anche una soluzione soddisfacente alla questione nucleare”. E proprio l’accordo sul nucleare è stato salutato con favore dal Papa, che nel discorso al Corpo diplomatico dell’11 gennaio ha ricordato come l’intesa faccia “ben sperare per il futuro”, auspicando altresì che possa contribuire “a favorire un clima di distensione nella regione”.

 

[**Video_box_2**]Oltretevere si parla di “linea realista”, che se da un lato non dimentica le impiccagioni e il trattamento non sempre benevolo nei confronti dei cristiani – il vescovo caldeo di Teheran, Ramzi Garmou, ha denunciato la confisca del terreno di proprietà della chiesa cattolica locale, ora destinato a ospitare una moschea – dall’altro vede nell’Iran un partner dialogante e desideroso di essere riammesso nel consesso internazionale. Dopotutto, aggiungeva Cervellera, “l’islam sciita è stato sempre più mistico e più aperto al dialogo con le culture”. In Vaticano si scommette sugli eredi di Khomeini, il tempo dirà se si è trattato di un azzardo o di una lungimirante strategia diplomatica.

 

  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.