Come si presenta, dopo l'attentato, il Café Miami di Qamishli, colpito il 30 dicembre scorso (LaPresse)

Siria, bombe sui cristiani: "Sono attacchi mirati, ma noi siamo uniti"

Matteo Matzuzzi
Tre diversi attentati, subito rivendicati da gruppi che si sono richiamati alla dottrina dello Stato islamico, hanno lasciato a terra diciotto morti, tra cui tredici cristiani, il 30 dicembre scorso. E' "una macelleria. I morti sono tutti giovani e giovanissimi", dice al Foglio monsignor Antranig Ayvazian, capo della eparchia cattolico-armena di Qamishli.

Roma. “Un massacro terroristico senza precedenti”, ha detto il patriarca siro-cattolico Ignace Youssef III Younan, commentando quanto avvenuto il 30 dicembre scorso a Qamishli, nord della Siria, a non troppa distanza dai confini con la Turchia a settentrione e l’Iraq a oriente. Tre diversi attentati, subito rivendicati da gruppi che si sono richiamati alla dottrina dello Stato islamico, hanno lasciato a terra diciotto morti, tra cui tredici cristiani. Una quarantina i feriti, alcuni dei quali senza più gambe o braccia. “Quella sera ci si preparava con gioia ed entusiasmo a salutare l’anno nuovo, come da tradizione con le feste e il folclore tipico delle nostre comunità cristiane”, dice al Foglio monsignor Antranig Ayvazian, capo della eparchia cattolico-armena di Qamishli: “Quasi tutti i locali, ristoranti e club giovanili stavano portando a termine i preparativi per il giorno seguente. Alle 20.40, la prima esplosione, al Café Miami, forse per opera d’un attentatore suicida fattosi saltare in aria, ha riferito l’agenzia France Presse. Tre o quattro minuti dopo, la seconda, al ristorante Gabriel. Più tardi, l’attentato al Youth Restaurant, nella parte occidentale della città. Le bombe erano state nascoste all’interno di alcune valigie, posizionate qua e là tra i tavoli, in mezzo ai clienti che si preparavano a tornare a casa”. Il risultato? “Una macelleria. I morti sono tutti giovani e giovanissimi, novelli sposi o persone sposate da pochi anni, padri di bambini piccoli. Quasi tutti cristiani”. Da quattro giorni la città è in lutto, aggiunge il presule: “Un lutto totale”, precisa, al punto che nelle chiese e nei luoghi di ritrovo si sente spesso citare il passo biblico del profeta Geremia in cui “Rachele piange i suoi figli e, proprio perché essi non ci sono più, non può essere consolata”. Un lutto che ha unito tutti i cristiani di Qamishli, indipendentemente dal fatto che siano essi cattolici od ortodossi: “Le cerimonie di requiem sono state ecumeniche. Si è pregato nella cattedrale siro-ortodossa, dove i capi delle varie comunicate hanno portato parole di conforto. Quindi è stato letto il messaggio del presidente Bashar el Assad. Infine, tutte le vittime sono state sepolte nel cimitero cattolico. Insieme e in fila, l’una di seguito all’altra. Ora, per non dimenticare quel che è stato, si sta pensando di erigere un monumento dedicato a loro, i Martiri di Natale”.

 

“Suoneremo le campane finché vivremo”

 

E’ la prima volta che i cristiani della città all’estremo lembo settentrionale della Siria vengono presi di mira in modo così diretto. I miliziani fedeli al califfo ci avevano già provato lo scorso giugno, ma la resistenza (con il supporto delle Forze armate governative) avevano evitato a Qamishli il destino di tante altre città del paese, rese spettrali dalla guerra civile e dall’avanzata jihadista. Qamishli che, nel frattempo, aveva accolto milleottocento cristiani e più di quattrocento famiglie musulmane scappate da Hassaké, ottanta chilometri più a sud. Il luogo colpito a fine anno è simbolico, sottolinea mons. Ayvazian: “La nostra città, a differenza di altre, è un bastione cristiano di certo polietnico, ma altrettanto unito. E’ un mosaico di antiche chiese orientali, vecchie di storia quanto lo è il cristianesimo. Dal 2011 a oggi, Qamishli era rimasta ai margini della violenza che imperversa altrove, tant’è che migliaia di profughi venivano qui, avviando anche alcune piccole aziende per cominciare una nuova vita. L’armonia era il tratto caratterizzante: arabi, curdi, armeni, siriaci, caldei e assiri. Nessun problema, ci sono perfino quartieri popolari ‘misti’”, aggiunge il capo della locale eparchia cattolico-armena. La zona centrale, però, “è sempre stata a maggioranza cristiana e a difenderla c’erano gruppi di giovani miliziani anch’essi cristiani”. Il patriarca sirocattolico, Younan III, vede nel duplice attentato “un messaggio cupo che i terroristi hanno voluto indirizzare ai cristiani di questa città, seminando morte e lacrime”.

 

[**Video_box_2**]Ancor più esplicito è stato monsignor Pascal Gollnisch, direttore generale dell’Oeuvre d’Orient, l’istituzione creata in Francia a metà Ottocento per sostenere le chiese orientali: “Quasi venti cristiani sono stati assassinati in modo mirato”, ha scritto in un comunicato stampa diffuso ieri, chiarendo come sia “più che mai necessario adottare misure per fermare le violenze in Siria e Iraq”. Lo stesso Younan, del resto, solo qualche settimana fa aveva implorato l’occidente, a cominciare dall’Amministrazione americana guidata da Barack Obama, di “fare di più per difendere i cristiani perseguitati nel vicino e medio oriente”. Il patriarca greco-ortodosso di Antiochia e di tutto l’oriente, Youhanna X Yazigi, ha fatto leggere nelle chiese che ricadono sotto la sua giurisdizione – a cominciare dalla cattedrale ortodossa di Damasco, la “Mariamita” – un messaggio in cui assicura che “non risparmieremo alcuno sforzo per difendere la nostra terra. Le nostre campane continueranno a suonare finché ci sarà sangue nelle nostre vene”.

  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.