Il paragrafo sull'accompagnamento dei divorziati risposati è stato approvato per un solo voto (LaPresse)

La prudente apertura del Sinodo sui divorziati risposati: non si parla mai di "comunione"

Matteo Matzuzzi
Il Sinodo ordinario sulla famiglia si è concluso con il via libera alla Relazione finale da parte dei padri. Tutti i 94 paragrafi sono stati approvati dalla maggioranza richiesta dei due terzi. Il Papa: "I veri difensori della dottrina difendono lo Spirito, non le idee, le formule, la lettera".

Roma. Il Sinodo ordinario sulla famiglia si è concluso con il via libera alla Relazione finale da parte dei padri. Tutti i 94 paragrafi sono stati approvati dalla maggioranza richiesta dei due terzi. Anche il punto più controverso, quello relativo all’accompagnamento dei divorziati risposati, ha avuto il via libera dall’assemblea, anche se il paragrafo 85 (che delinea i contorni del “discernimento” caso per caso) è passato per un solo voto. In ogni caso, mai viene nominata in quel paragrafo la parola “comunione”, come in tarda serata diversi padri hanno voluto precisare, a cominciare da quelli tedeschi. In mattinata, il testo – già ampiamente rivisto – era stato approvato all’unanimità dalla Commissione redigente, “senza alcuna riserva”, aveva precisato il cardinale Péter Erdo, relatore generale e non di certo ascrivibile tra le file dei novatori. Dalla lettura del documento finale appare evidente che a prevalere è stata la linea portata avanti dal circolo minore in lingua tedesca, la cui relazione ha riscosso notevoli apprezzamenti quanto al linguaggio utilizzato e alla profondità teologica che ne contraddistingue i contenuti. Che la strada fosse quella lo aveva già fatto capire, nel briefing dell’ora di pranzo, il cardinale Christoph Schönborn, che del circolo era stato il moderatore: “Discernimento è la parola chiave”, era stata la frase ripetuta più volte davanti ai giornalisti. E l’urna gli ha dato ragione, benché rispetto al testo del gruppo Germanicus sia stato tolto ogni riferimento alla “comunione”, passaggio resosi necessario per cercare di ottenere un consenso più vasto.

 

A ogni modo, la relazione finale premette che “i divorziati e risposati civilmente devono essere più integrati nelle comunità cristiane nei diversi modi possibili, evitando ogni occasione di scandalo. La logica dell’integrazione – si legge – è la chiave del loro accompagnamento pastorale, perché non soltanto sappiano che appartengono al Corpo di Cristo che è la Chiesa, ma ne possano avere una gioiosa e feconda esperienza”. Quanto alla loro partecipazione, precisa il testo, essa “può esprimersi in diversi servizi ecclesiali: occorre perciò discernere quali delle diverse forme di esclusione attualmente praticate in ambito liturgico, pastorale, educativo e istituzionale possano essere superate”. Il paragrafo 85 è il più controverso, avendo ottenuto la maggioranza dei due terzi per un solo voto, ed è il cuore della proposta tedesca (comunque assai lontana da quella, ben più aperturista, teorizzata dal cardinale Walter Kasper nel concistoro del febbraio 2014). Il punto di partenza è San Giovanni Paolo II, che “ha offerto un criterio complessivo, che rimane la base per la valutazione di queste situazioni”. Criterio che viene menzionato, richiamando il n. 84 di Familiaris Consortio: “Sappiano i pastori che, per amore della verità, sono obbligati a ben discernere le situazioni. C’è infatti differenza tra quanti sinceramente si sono sforzati di salvare il primo matrimonio e sono stati abbandonati del tutto ingiustamente, e quanti per loro grave colpa hanno distrutto un matrimonio canonicamente valido”. E il compito di accompagnare le persone “sulla via del discernimento” è dei “presbiteri”, secondo “l’insegnamento della Chiesa e l’orientamento del vescovo”.

 

[**Video_box_2**]Un cammino non semplice, a ogni modo, considerati i paletti che vengono posti e la chiara indicazione di un “esame di coscienza” da compiere “tramite momenti di riflessione e di pentimento”. Il cardine della proposta messa nelle mani del Papa è la frase in cui si afferma che “pur sostenendo una norma generale è necessario riconoscere che la responsabilità rispetto a determinate azioni o decisioni non è la medesima in tutti i casi”. Da ciò deriva quanto esplicitato al paragrafo 86, dove si chiarisce che “il colloquio col sacerdote, in foro interno, concorre alla formazione di un giudizio corretto su ciò che ostacola la possibilità di una più piena partecipazione alla vita della Chiesa e sui passi che possono favorirla e farla crescere”. Netta secondo le previsioni, invece, la chiusura alle unioni omosessuali.

 

Le parole di Francesco al termine dello scrutinio

Al termine della votazione, a prendere la parola è stato il Papa, come un anno fa. Francesco ha premesso che aver terminato i lavori sinodali “certamente non significa aver concluso tutti i temi inerenti la famiglia, ma aver cercato di illuminarli con la luce del Vangelo, della tradizione e della storia bimillenario della Chiesa, infondendo in essi la gioia della speranza senza cadere nella facile ripetizione di ciò che è indiscutibile o già detto”. Sicuramente, ha aggiunto il Pontefice, “non significa aver trovato soluzioni esaurienti a tutte le difficoltà e ai dubbi che sfidano e minacciano la famiglia, ma aver messo tali difficoltà e dubbi sotto la luce della fede, averli esaminati attentamente, averli affrontati senza paura e senza nascondere la testa sotto la sabbia”. Significa, ha detto Francesco, “aver spogliato i cuori chiusi che spesso si nascondono perfino dietro gli insegnamenti della Chiesa, o dietro le buone intenzioni, per sedersi sulla cattedra di Mosé e giudicare, qualche volta con superiorità e superficialità, i casi difficili e le famiglie ferite”.

 

[**Video_box_2**]Significa, soprattutto, “aver affermato che la Chiesa è Chiesa dei poveri in spirito e dei peccatori in ricerca del perdono e non solo dei giusti e dei santi, anzi dei giusti e dei santi quando si sentono poveri e peccatori”. Significa “aver cercato di aprire gli orizzonti per superare ogni ermeneutica cospirativa o chiusura di prospettive”. “Senza mai cadere nel pericolo del relativismo oppure di demonizzare gli altri – ha aggiunto ancora Bergoglio – abbiamo cercato di abbracciare pienamente e coraggiosamente la bontà e la misericordia di Dio che supera i nostri calcoli umani e che non desidera altro che ‘TUTTI GLI UOMINI SIANO SALVATI (in maiuscolo nel testo ufficiale, ndr)’".

 

Durissimo è stato il Papa quando ha detto che “l’esperienza del Sinodo ci ha fatto capire meglio che i veri difensori della dottrina non sono quelli che difendono la lettera ma lo spirito; non le idee ma l’uomo; non le formule ma la gratuità dell’amore di Dio e del suo perdono”. E “il primo dovere della Chiesa – ha chiosato Francesco – non è quello di distribuire condanne o anatemi, ma è quello di proclamare la misericordia di Dio, di chiamare alla conversione e di condurre tutti gli uomini alla salvezza”.

  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.