Le prime immagini circolate in rete di Facebook at Work

Facebook ci inseguirà pure in ufficio, ma non per farci cazzeggiare

Piero Vietti

Non tutti hanno la fortuna di lavorare in un’azienda che per sua natura non può impedire l’accesso ai social network ai propri dipendenti. Monitorare quello che succede nel web – e quindi nel mondo – ormai non può prescindere dal seguire costantemente i cosiddetti nuovi media, su tutti Twitter e Facebook.

Non tutti hanno la fortuna di lavorare in un’azienda che per sua natura non può impedire l’accesso ai social network ai propri dipendenti. Monitorare quello che succede nel web – e quindi nel mondo – ormai non può prescindere dal seguire costantemente i cosiddetti nuovi media, su tutti Twitter e Facebook. Ma se il primo, col suo scorrere perpetuo ma breve, spesso aiuta a trovare notizie utili, il secondo è per gran parte del tempo il regno del cazzeggio supremo. Si capisce che molti uffici abbiano bloccato la possibilità di connettersi a Facebook: il rischio concreto è quello di ritrovarsi i lavoratori immersi in video di candid camera giapponesi, catturati da finte notizie del genere “Incredibile, guardate quello che è successo!”, o ipnotizzati di fronte alle foto delle vacanze di un’antica compagna di scuola diventata molto più avvenente di quel che ricordavano. Questo quando non sono impegnati in quattro chat contemporaneamente o a mettere “mi piace” sotto qualsiasi link compaia di fronte a loro. Qualche settimana fa lavoce.info ha calcolato per gioco i soldi che ciascun italiano perde stando su Facebook: circa 3.650 euro l’anno.

 

Mark Zuckerberg, che di Facebook è il fondatore, in questi giorni è in Colombia a presentare il suo progetto di portare internet a tutti gli abitanti del pianeta nel giro di pochi anni. Nelle stesse ore alcune aziende partner del social network più famoso del mondo cominciavano a testare Facebook At Work, applicazione per smartphone e tablet utilizzabile anche dai computer fissi. Facebook at Work altro non è che la versione aziendale della creatura di Zuckerberg, un social network privato in cui gli impiegati di un’azienda possono comunicare, condividere articoli, foto e informazioni utili per il lavoro. Non è una rivoluzione, dato che aziende come Google e Microsoft già da tempo utilizzano social network interni, e molte imprese in tutto il mondo usano Slack, piattaforma di comunicazione privata creata dal co-fondatore di Flickr Stewart Butterfield nel 2013, e che oggi vale oltre un miliardo di dollari.
Facebook at Work, scrivevano alcuni quotidiani inglesi (è stato progettato dagli uffici londinesi della società americana), sarà praticamente identico alla sua versione pubblica, con la possibilità di creare gruppi, eventi, condividere link, video, immagini e inviare messaggi, il tutto nel cerchio chiuso dell’azienda. Nessuno da fuori potrà accedere ai profili dei lavoratori, che saranno comunque separati da quelli utilizzati pubblicamente su Facebook.

 

La notizia non è una sorpresa, scriveva il Financial Times, che già aveva scritto dell’idea nel novembre 2014, ma arriva al momento giusto. Quello dei software per le aziende è un mercato da tempo in espansione: oltre al già citato Slack, nel 2012 Microsoft pago 1,2 miliardi di dollari per l’acquisizione di Yammer, un social network privato per aziende, e qualche mese fa ha lanciato una versione dedicata alla Business communication di Skype, servizio di chat utilizzato in tutto il mondo per chiamate video. Il Guardian ieri citava una recente ricerca di Gartner, società leader mondiale di consulenza strategica nell’information technology, secondo cui nel 2015 il mondo degli affari spenderà 344 miliardi di dollari in software per le imprese. Naturale che Facebook punti almeno a una fetta di quella torta, che avrebbe comunque un impatto significativo nelle casse di Zuckerberg e soci, al momento riempite soprattutto dagli introiti pubblicitari. Se la versione “At Work” si imporrà nelle aziende come ha fatto nella vita di tutti quella classica, Facebook occuperà anche quel poco spazio in cui ancora non riusciva a entrare, le ore di lavoro. Mark Zuckerberg ci avrà sempre connessi con lui, anche quando non cazzeggiamo.
Piero Vietti

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  • Piero Vietti
  • Torinese, è al Foglio dal 2007. Prima di inventarsi e curare l’inserto settimanale sportivo ha scritto (e ancora scrive) un po’ di tutto e ha seguito lo sviluppo digitale del giornale. Parafrasando José Mourinho, pensa che chi sa solo di sport non sa niente di sport. Sposato, ha tre figli. Non ha scritto nemmeno un libro.