Il fumo della Trattativa sulla strage di via d'Amelio

Fiammetta Borsellino continua a chiedere conto delle contraddizioni e delle lacune sulle indagini relative alla strage nella quale perse la vita il padre. C'è di mezzo il "tesoro" di Vito Ciancimino

Massimo Bordin

Una sentenza, un’intervista televisiva e un articolo negli ultimi tre giorni riportano l’attenzione sul processo “Trattativa stato-mafia”. La sentenza viene dalla nona sezione del tribunale di Roma che ha condannato per riciclaggio cinque persone. Il processo, nato da una indagine passata per tre palazzi di giustizia, L’Aquila, Palermo e Roma, riguardava la vendita di una gigantesca discarica in Romania di proprietà di un gruppo di persone legate in vario modo a Vito Ciancimino, fra le quali suo figlio Massimo. Era insomma una parte del famoso “tesoro” di don Vito, poi passato al figlio, supertestimone nel processo avviato dal dottore Antonio Ingroia. Curiosamente ritroviamo Ingroia, che ora è avvocato, nel processo romano come difensore di uno dei cinque imputati, un uomo d’affari romeno. Una logica in fondo c’è. A suo tempo la procura di Palermo aveva chiesto l’archiviazione dell’inchiesta, finita poi a Roma con un’altra procura e un altro esito.

 

L’intervista televisiva è stata quella di Fabio Fazio a Fiammetta Borsellino. La figlia del giudice ucciso continua a chiedere conto delle contraddizioni e delle lacune sulle indagini relative alla strage di via D’Amelio e indica non nella “trattativa” ma nel dossier mafia-appalti, redatto dai carabinieri poi condannati per la “trattativa” e consegnato in procura da Giovanni Falcone, il movente che portò alla strage. Anche in quel caso la procura di Palermo archiviò. Infine l’articolo di Roberto Saviano sull’Espresso, dove l’autore, ripetiamo: Saviano, scrive di “cosiddetta trattativa” e la definisce “un caposaldo della retorica grillina”. Questi dubbi, a dir poco, troveranno risposta nel processo di appello, ormai vicino?

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