L'arresto di Leandro Greco, nipote di Michele Greco (foto LaPresse)

Cosa nostra è “un po' allo sbando”

Massimo Bordin

Dopo l'arresto del nipote di Michele Greco anche Repubblica finisce per vacillare. Anche se “un po’ allo sbando” è espressione tenue rispetto alla realtà

Perfino Attilio Bolzoni ieri su Repubblica finiva per vacillare, non riusciva a evitare un dubbio che introduceva con la formula “in verità”. Come dire che ci si può girare intorno, valutare tutte le circostanze, non cedere alle subdole spiegazioni che minimizzando aiutano la mafia nella sua sommersione mascherata da ripiegamento, ma “in verità” Cosa nostra “un po’ allo sbando si ritrova” se è vero che a far finire dentro il nipote di Michele Greco “sono stati due mafiosi chiacchieroni intercettati a colloquio in carcere”. E’ vero, certo che è vero, e “un po’ allo sbando” è espressione tenue rispetto alla realtà. La storia dei due chiacchieroni, i fratelli Giovanni e Giuseppe Di Gregorio, è molto indicativa perché si tratta di uno dei fili che hanno portato all’inchiesta sulla cosiddetta nuova cupola. Giovanni è un ergastolano, killer del mandamento di Porta Nuova, praticamente il centro città, di cui è stato anche reggente finché non lo hanno arrestato. Giuseppe era il fratello, mafioso anche lui, che lo andava a trovare al carcere palermitano di Pagliarelli. I colloqui coi familiari dei detenuti al 41 bis sono registrati d’ufficio ma i due bisbigliavano, si scambiavano dei segni. I filmati venivano poi mostrati a mafiosi pentiti che interpretavano segni convenzionali e soprannomi delle persone citate. Le indagini avanzavano e qualcosa trapelò. I due parlavano degli assetti e della ricostruzione delle varie famiglie su cui Giovanni l’ergastolano diceva la sua al fratello. Durò fino a quattro anni fa, quando Giuseppe fu ucciso per strada nel quartiere della Zisa. “Forse ho fatto troppi discorsi” spiegò Giovanni in un colloquio pure intercettato.

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