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Le lezioni che non abbiamo imparato dalla strage di piazza Fontana

Massimo Bordin

Le distorsioni e i rischi che si corrono cercando la verità sui fatti del 12 dicembre 1969 (e successivi)

Ci sono diverse lezioni che si possono trarre dal 12 dicembre 1969 ma si dovrebbe convenire che poche di esse sono state coltivate e molte distorte. Come spesso succede il luogo comune ha finito per cancellare una memoria già pigra di suo. L’espressione “strage senza colpevoli”, per esempio, finisce per distorcere quello che, dopo decenni, è stato il punto di caduta giudiziario della vicenda. L’ultimo degli infiniti processi dedicati alla strage di piazza Fontana, giunto a sentenza definitiva, fa i nomi di due colpevoli che però non possono essere riprocessati per il sacrosanto principio del “ne bis in idem”. I giudici sbagliarono ad assolverli definitivamente. Ora Ventura è comunque morto, mentre Freda è impegnato a parlar bene di Salvini. Fu usata allora un’altra immagine, la strage di stato.

Il libro che, a meno di un anno dai fatti, fornì un notevolissimo contributo a comprendere la vicenda viene oggi ricordato solo per la forzatura ideologica che mosse il lavoro dei militanti e giornalisti che lo scrissero, riassunta nel titolo. Anche qui una distorsione. La connivenza fra elementi dell’estremismo di destra con apparati militari e di sicurezza, che ha portato a concrete condanne, si tramuta in un’effettiva determinazione stragista dell’esecutivo. L’eterna ricerca dei mandanti eccellenti, l’azzardata teoria del doppio stato, nascono allora. Sono solo due esempi dei rischi che si corrono cercando la verità. Magari alla fine si trova ma finisce per non accontentarci.

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