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Il referendum Atac e il M5s che si dimentica della democrazia diretta

Massimo Bordin

La giunta ha evitato accuratamente di garantire l’informazione durante la raccolta firme e anche nella successiva campagna elettorale

Domenica a Roma si vota sul trasporto pubblico e già il voto in sé offre qualche spunto di riflessione a prescindere dal merito dei quesiti. Un referendum è un momento di democrazia diretta dunque dovrebbe pienamente soddisfare, almeno come esercizio, la giunta pentastellata. Invece no. La giunta ha evitato accuratamente di garantire l’informazione durante la raccolta firme e anche nella successiva campagna elettorale. Per di più, con una opinabile decisione ha imposto il quorum che pure aveva abrogato per i referendum consultivi. Infine la giunta si è di fatto schierata per il no anche se ha evitato di marcare troppo la sua posizione, un po’ per naturale inconcludenza, un po’ per evitare di dare risalto al dibattito, molto per evitare il rischio di trasformare il voto in un pronunciamento sulla attività complessiva della giunta. Anche l’opposizione non ha precisamente brillato lasciando ai Radicali di Riccardo Magi l’onore e l’onere della battaglia politica. E’ vero che il Pd alla fine si è pronunciato per il sì ma per esempio il governatore della regione, candidato alla segreteria del partito, sulla questione non si è speso. Il fronte del no, sindacati dell’Atac in testa, si è organizzato in comitato e ha avuto un colpo di genio battezzandolo con un neghittoso e vernacolare “Mejo de no” che simboleggia alla perfezione lo spirito della città. Anche la sinistra che occhieggia al M5s ha un suo comitato, “Atac bene comune”, intestazione che potrebbe però essere considerata da molti utenti una gratuita provocazione. Certo se la giunta fosse sconfitta sarebbe politicamente molto più importante di una sentenza di tribunale. E’ una ragione che può bastare per votare sì.

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