Il carcere di San Vittore (foto LaPresse)

Perché senza riforme rischiano di tornare le rivolte nelle carceri

Massimo Bordin

Un fenomeno ormai dimenticato, che risale agli anni 80. Ma che potrebbe tornare di attualità

Le rivolte carcerarie sono un brutto ricordo. Storie del secolo scorso, si potrebbe dire. Bisogna risalire ai primi anni 80 per ricordare disordini nelle carceri, certo molto più gravi di quelli di cui hanno parlato i giornali di ieri a proposito del carcere di Sanremo. Siamo molto lontani per fortuna da quel passato ma è forse utile riflettere su come una situazione di effettiva ingovernabilità del settore penitenziario venne superata. Nelle carceri all’epoca camorristi e mafiosi la facevano da padroni, venivano eseguiti omicidi fra bande rivali che giunsero nel carcere napoletano di Poggioreale perfino ad affrontarsi in uno scontro a fuoco, con armi evidentemente sfuggite, diciamo così, alla vigilanza. Tutto ciò era dovuto forse a un sistema troppo tollerante? No. Il sistema di controllo era in teoria rigidissimo, ai limiti dell’inumano. Proprio per questo non funzionava. Non ci vuole un criminologo per capirlo.

 

Basta vedere il caso limite delle carceri di paesi come il Brasile o la Colombia o di qualche altro stato dell’estremo oriente. Si tratta di sistemi carcerari in teoria severissimi che in pratica si riducono a una feroce inefficacia. Il recupero dell’efficienza deve invece andare di pari passo con la possibilità di offrire ai detenuti speranza, per quanto possibile. L’inversione di tendenza, il ripristino di legge e ordine nelle carceri, nel nostro paese è arrivato insieme alla legge Gozzini, che qualche stolto tutt’ora definisce buonista. Tutto è poi rimasto fermo per troppo tempo e non sono mancati passi indietro. Oggi la mancata riforma carceraria rischia di riportarci a un punto che nessuno sembra più ricordare.

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