Cosa penserebbe Carlo Emilio Gadda della legge sulle chiusure domenicali

Massimo Bordin

Il rito della pasticceria e gli inviti dei parenti, alla fine degli anni 50

Arrivava tutte le domeniche, poco prima dell’ora di pranzo, e dall’alto della sua mole, scrutava i dolci esposti sul bancone della più frequentata pasticceria di via Ferrari, zona Prati-Delle Vittorie, quartiere di residenza del generone romano del dopo breccia di porta Pia. Era l’incubo delle affaccendate commesse che, come lo vedevano entrare, si davano di gomito e borbottavano in romanesco “Eccolo là! E’ arrivato l’ingegnere”. Carlo Emilio Gadda arrivava in autobus e si fermava nel negozio per comprare un vassoio di bignè, diplomatici e cannoli. Immancabilmente, mentre la povera commessa, impaziente di raggiungere il suo pranzo domenicale, stava per incartare il tutto, diceva, con evidente tormento interiore “Mi scusi signorina, ho riconsiderato”, e mutava la percentuale dei tipi di dolci nel vassoio, fino a quando per sfinimento la commessa riusciva a convincerlo che quella era la proporzione ideale. Pare peraltro che a Gadda nulla importasse della famiglia che fastidiosamente turbava la sua solitudine domenicale invitandolo a pranzo. Piuttosto, dicono i suoi biografi, lo attirava la procace cameriera che riceveva dalle sue mani il vassoio e poi lo serviva in tavola. Ma non se ne fece mai nulla, era timido. Soprattutto era la fine degli anni 50, quando l’acquisto delle paste domenicali, dopo la messa e prima del pranzo familiare, era appunto un rito. Oggi le pasticcerie sono sempre meno, come i fedeli in chiesa, mentre le cameriere sono ucraine e Gadda, che forse più nessuno inviterebbe, non c’è più. Le nostre domeniche ormai sono diversamente mostruose e la nuova legge proposta dal governo sulle chiusure domenicali dei negozi ci propone un improbabile ritorno ai bignè.

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