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Le domande che dovrebbe porsi una nuova commissione parlamentare antimafia

Massimo Bordin

Finirà per essere una cassa di risonanza per il processo trattativa e i suoi derivati. Ma l’ottimismo della volontà spinge ad avanzare qualche proposta alternativa

È inevitabile rassegnarsi a una nuova commissione parlamentare antimafia, la faranno e già stanno discutendone l’arco tematico e il raggio d’azione. I dottori Ingroia e Grasso vorrebbero uno strumento parlamentare che fosse cassa di risonanza per il processo trattativa e i suoi derivati, che sono parecchi fra quelli ancora nella fase di indagine, di dibattimento o, come nel caso della matrioska principale, di appello. Il pessimismo della ragione dice che probabilmente finirà così, l’ottimismo della volontà spinge ad avanzare qualche proposta alternativa. Almeno una sottocommissione potrebbe occuparsi di un check-up sullo stato di salute di Cosa nostra. Sull’onda della strage di Ciaculli, 55 anni fa, venne istituita la prima commissione parlamentare sulla mafia siciliana che già allora era chiamata Cosa Nostra dal parlamento americano che lo aveva appreso dal pentito Joe Valachi. In Italia si continuò a chiamarla mafia per altri vent’anni, quando si pentì Buscetta. Si potrebbe partire da qui – da quando gli onorevoli indagatori riuscirono almeno a scoprire il vero nome dell’oggetto della loro indagine – per sovrapporre lo stato dell’organizzazione criminale di allora e quello attuale. In altre parole, esiste ancora la “cupola”? E se sì, chi ne è il capo? E se no, da quando non esiste più? E quanti erano allora i mafiosi all’ergastolo? E quanti sono oggi? E quante stragi e delitti eccellenti sono stati fatti dal 1993 ad oggi, cioè negli ultimi 25 anni? E come sono messi i “mandamenti” in tutta la Sicilia? E le “famiglie” a Palermo rispetto a 30 anni fa? Sono dati a disposizione delle procure e della polizia, basterebbero poche audizioni. Poi, se vogliono, parlino pure della famosa trattativa.