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Un problema giudiziario fotografa il problema della sinistra italiana

Massimo Bordin

Due visioni contrapposte, nelle parole dell’ex membro del pool antimafia Di Lello e in quelle del procuratore generale Scarpinato

Domenica, intervenendo con un messaggio videoregistrato alla conferenza indetta dal Partito radicale sul caso del generale mori, l’ex membro del pool antimafia di Falcone e Borsellino, Giuseppe Di Lello, riferendosi all’impianto teorico del processo sulla trattiva, ha criticato “una ricostruzione della storia d’Italia basata sul terrorismo, la mafia, la CIA, i servizi deviati, come se la storia d’Italia fosse una storia criminale mentre è una storia di resistenza fatta di lotte democratiche”. Poi Di Lello ha aggiunto anche altre cose assai interessanti, ma quello qui riportato è forse il cuore del discorso che va confrontato con quanto ha detto il procuratore generale Roberto Maria Scarpinato ieri in un convegno a Palermo: “Questo è un paese che non è riuscito a sapere la verità sulla strage di Portella della Ginestra del 1947, che inaugurò la strategia della tensione in Italia. Un paese che non è riuscito a conoscere la verità sulle stragi neofasciste. La storia dei depistaggi arriva fino ai nostri giorni. E il processo a borsellino è una somma di tutti i depistaggi della storia italiana”. Sia Di Lello sia Scarpinato sono di sinistra. Di Lello è stato anche parlamentare del PRC e ora scrive sul Manifesto, Scarpinato non ha mai lasciato la toga ma la sua impostazione culturale è facilmente leggibile. Di Lello giudica fantascientifica la tesi del processo sulla trattativa, Scarpinato la sostiene. Soprattutto, il loro approccio alla storia d’Italia è antitetico come si può facilmente notare dalle citazioni. Non è solo un problema giudiziario, né lo è principalmente. Più che altro è la fotografia del vero problema della sinistra italiana.

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