Di Pietro e l'accanimento dei pm contro Mori
L’importanza delle dichiarazioni dell'ex pm sta nella dimostrazione che Borsellino, poco prima di essere ucciso, non si occupava minimamente della fantomatica trattativa ma del dossier del Ros e per questo incontrò Mori e De Donno
Qualche giorno fa qui si era citato Antonio Di Pietro, teste richiesto dalla difesa Mori e rifiutato dalla Corte d’assise palermitana, che raccontava ai giornali come Borsellino poco prima di morire gli avesse parlato della necessità di un raccordo fra l’indagine milanese “mani pulite” e quelle palermitane sulla mafia e la strage di Capaci. Qui si notava che l’unico raccordo possibile stava nel dossier “mafia e appalti” del Ros, che la procura palermitana archiviò due giorni dopo la strage di via D’Amelio. Da qualche giorno Il Dubbio sta approfondendo la questione, qui per la verità più volte trattata. Se possiamo permetterci di dare un consiglio, si può riassumere in una parola: calma. Non c’è nulla di inedito, di quella archiviazione si è più volte parlato. Ne nacque una polemica fra Ros e procura che aprì la sequenza di processi contro il generale Mori e lo scontro si spostò sui giornali, dove le parti della procura furono sostenute da Repubblica e Unità e quelle del Ros da Peppe D’Avanzo, allora al Corriere della Sera. Nella polemica non si può trovare il movente delle stragi ma quello dell’accanimento dei pm contro Mori. L’importanza delle dichiarazioni di Di Pietro sta nella dimostrazione che Borsellino, poco prima di essere ucciso, non si occupava minimamente della fantomatica trattativa ma proprio del dossier del Ros e per questo incontrò Mori e De Donno. Non perché diffidasse di loro, come ha sostenuto l’accusa nel processo di Palermo. Peraltro l’incontro si svolse in una caserma e non in procura. Se mai Borsellino non si fidava di altri. Come deduzione può bastare.