Giovanni Maria Flick (foto LaPresse)

Flick e il dovere di denunciare le intimidazioni

Massimo Bordin

Il professore a Roma alla manifestazione dell’Unione camere penali e del Partito radicale si è detto molto preoccupato dalle reazioni suscitate dalla recente sentenza sulla “trattativa” 

La manifestazione ieri a Roma dell’Unione camere penali e del Partito radicale sulla attuazione della riforma dell’ordinamento penitenziario è stata caratterizzata da molti interventi significativi ma uno in particolare, quello del professore Giovanni Maria Flick, merita la massima attenzione. Flick, avvocato e professore universitario, è stato ministro di Giustizia e presidente della Corte costituzionale. Ha dunque preso o contribuito a prendere importanti decisioni nei ruoli pubblici che si è trovato a ricoprire. Decisioni logicamente ispirate dai suoi convincimenti teorici, espressi nelle sue pubblicazioni accademiche. Ecco il punto: il professore ieri si è detto molto preoccupato. Non dalla sentenza recente sulla “trattativa”, di cui attende la pubblicazione, ma dalle reazioni da essa suscitate. Il professore ha citato le parole del Pm Antonino Di Matteo e un articolo del sociologo Nando Dalla Chiesa in cui si sostiene che la riforma del sistema carcerario è un segnale chiarissimo dello stato alla mafia, funzionale a un patto indicibile. Flick ha ricordato come sia già stato chiamato in causa dal Fatto per aver ordinato, da ministro, la chiusura dell’Asinara e di Pianosa sulla base di normative regionali e indicazioni europee e non del fantomatico papello come sosteneva il quotidiano di Travaglio. Oggi il problema si ripropone su più vasta scala con la riforma dell’ordinamento carcerario. “Mi sento chiamato in causa come amico della mafia” ha detto il professore. Ma non non c’è motivo di preoccuparsi se, come ha fatto lui ieri, le intimidazioni, ché di questo si tratta, vengono denunciate.

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