Michele Emiliano e Matteo Renzi (foto LaPresse)

Il dibattito irrazionale nel Pd è difficile da ribaltare

Massimo Bordin

Goffredo Bettini fotografa la situazione scrivendo di un “collasso elettorale, organizzativo e identitario”

E’ difficile spiegarsi la grande polemica all’interno del Pd a proposito del sito senzadime.it. La vigilia di una riunione di direzione sicuramente agitata spiega solo in parte il trambusto. La parola d’ordine, che echeggia “not in my name”, slogan caro alla sinistra, era comparso come hashtag usato su Twitter da elettori democratici contrari all’accordo con il M5s. Nulla di trascendentale o imprevedibile, eppure ci sono state reazioni che hanno bollato l’iniziativa come oscura, evocando algoritmi e altre diavolerie telematiche. Il passaggio da hashtag a sito ha ora portato i critici dell’iniziativa a parlare di liste di proscrizione. Certo nel Pd il dibattito è complicato, talvolta irrazionale. Per esempio ieri il pubblico ministero Michele Emiliano, pro tempore presidente della giunta regionale pugliese e uno dei leader della minoranza del partito, ha pensato di dare il suo contributo sostenendo che il Pd non può essere il partito di “quelli che vogliono fare l’acciaio e vendere il carbone e contemporaneamente il partito di quelli che non vogliono morire perché c’è una fabbrica che inquina.” Occorre piuttosto essere “il partito che tutela l’ambiente e promuove il turismo”. Niente fabbriche ma tanti banchetti di cozze pelose, questo il modello di sviluppo, si fa per dire, proposto. La sintesi più efficace della situazione del Pd si trova forse in quattro parole scritte da un suo dirigente sull’Huffington Post. Goffredo Bettini fotografa la situazione scrivendo di un “collasso elettorale, organizzativo e identitario”. Difficile ribaltare una situazione del genere con una mozione.

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