Roberto Fico (foto LaPresse)

La stucchevole polemica sulla laurea di Roberto Fico

Massimo Bordin

Se avesse scritto una tesi su Wittgenstein piuttosto che sui neomelodici, nulla sarebbe cambiato sul senso politico della sua elezione a presidente della Camera. Che non è un concorso per titoli

Stucchevole è forse l’aggettivo adatto per qualificare la polemica sulla tesi di laurea del neopresidente della Camera. Trovare politicamente ragionevole criticare i parlamentari del M5s come semianalfabeti, pur in possesso di laurea, non solo è inutile ma finisce per diventare un segno di sudditanza nei confronti proprio della loro ideologia. Se Roberto Fico avesse scritto una tesi su Wittgenstein piuttosto che sui neomelodici, nulla sarebbe cambiato sul senso politico della sua elezione a presidente della Camera dei deputati, una scelta appunto politica e non un concorso per titoli.

 

Abbiamo avuto presidenti del Consiglio che erano pozzi di scienza eppure il loro operato rimane a dir poco controverso, mentre altri con meno titoli accademici si sono fatti rimpiangere. La recente mania dei titoli e dei curriculum nasce dall’equiparazione delle elezioni politiche, dirette e indirette, con i pubblici concorsi. Come se un eletto fosse un funzionario di stato, mentre in democrazia non è così. Chiunque può aspirare e essere eletto a un incarico politico anche importante. Questa storia dei deputati funzionari nasce con Robespierre che com’è noto la coniugava a qualcosa di simile a l’uno che vale uno e tutti eleggono i loro portavoce. Finì malissimo. Per ora qui siamo a un poveretto che deve sbandierare una laurea per garantirsi verso altri poveretti che, incontentabili, giudicano inadeguata la sua tesi.

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